martedì, Marzo 19, 2024

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I calciatori più forti a non aver mai giocato un Mondiale

CuriositàI calciatori più forti a non aver mai giocato un Mondiale

Pelé, Maradona, Cruijff, Baggio: certamente, la maggior parte dei fuoriclasse della storia del calcio hanno giocato (e spesso brillato) in almeno un Mondiale. Ma non è andata sempre così.

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I grandi calciatori non nascono solo in nazioni di primo piano come Italia, Brasile, Germania e Argentina; altre volte ancora, certi fuoriclasse si rivelano dei veri e propri pionieri del proprio paese, e quando emergono non si trovano contornati da colleghi di altrettanto valore. Così, è capitato nella storia che tanti calciatori di grande valore non abbiano mai giocato un Mondiale, mancando quella che è da tempo la principale vetrina globale di questo sport. Vediamo i cinque casi molto significativi.

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I calciatori più forti a non aver mai giocato un Mondiale: Alfredo Di Stefano

Stella del Real Madrid della seconda metà degli anni Cinquanta, capace di vincere cinque Coppe dei Campioni consecutive, Di Stefano è considerato da chi lo ha visto giocare allo stesso livello di grandissimi come Pelé e Maradona, centravanti velocissimo e con piedi da regista, prototipo del falso 9 moderno.

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Nato in Argentina da immigrati italiani, esplose nel mitico River Plate di fine anni Quaranta, approdando nell’Albiceleste a 21 anni e trascinandola, con 6 reti in altrettante partite, alla conquista della Copa America. Avrebbe sicuramente rappresentato l’Argentina ai Mondiali del 1950, se nel frattempo lui e altri colleghi non avessero abbandonato il paese per questioni sindacali, andando a giocare nel ricco campionato colombiano. Nel frattempo, l’Argentina rinunciò al Mondiale svizzero, e Di Stefano finì a giocare solo alcune partite con una selezione non ufficiale della Colombia.

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Il suo trasferimento al Real Madrid gli consentì di prendere la cittadinanza spagnola, dato che l’Albiceleste convocava quasi esclusivamente giocatori del campionato nazionale. Nel 1957, Di Stefano disputò la prima di 31 partite con le Furie Rosse che, a dispetto del successo dei propri club, come nazionale avevano molte difficoltà. Fallita la qualificazione al torneo del 1958 a causa della Scozia, la Spagna riuscì a ottenere il pass per quelli successivi, ma, ormai 36enne, Di Stefano subì un infortunio e saltò tutto il torneo.

Kazuyoshi Miura

Oggi è conosciuto soprattutto per il suo incredibile record di longevità come calciatore (è ancora in attività a 53 anni!), e in Italia divenne celebre come primo giapponese del nostro campionato, quando nel 1994 venne a giocare al Genoa. In passato, inoltre, Kazu Miura aveva già vestito le maglie di diversi club brasiliani, diventando piuttosto noto a livello globale come uno dei principali talenti del calcio asiatico.

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Eppure, nonostante questa lunghissima carriera, con 89 presenze e 55 reti con il Giappone, Miura non ha mai calcato i campi di un Mondiale di calcio. Proprio nel 1994, fu il capocannoniere della qualificazioni asiatiche per USA ’94 con 13 gol in altrettante partite, ma il Giappone non riuscì a qualificarsi. Quattro anni dopo, fu ancora decisivo con le sue reti (14) e trascinò la nazionale al suo primo Mondiale; tuttavia, per motivi mai del tutto chiariti, il ct Takeshi Okada non lo convocò per la fase finale del torneo. Nel 2000, Miura si ritirò dalla nazionale, e così il Mondiale asiatico del 2002 si disputò senza uno dei più celebri calciatori del continente.

Jari Litmanen

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Se ne parla poco, ma la Finlandia non ha mai disputato la fase finale di nessun grande torneo internazionale di calcio (si è qualificata ai prossimi Europei, però). Questo ha fatto sì che alcuni dei suoi più noti calciatori, facenti parte di una piccola generazione d’oro a cavallo degli anni Novanta e Duemila, non abbiano mai potuto disputare un Mondiale. È il caso di Sami Hyypia, Antti Niemi, Teemu Tainio, Mikael Forssell e soprattutto Jari Litmanen.

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Geniale centrocampista offensivo dell’Ajax degli anni Novanta, e poi di Barcellona e Liverpool, Litmanen è stato senza dubbio uno dei più forti calciatori al mondo dell’epoca. Nonostante avesse a disposizione una rosa di buon livello, la sua Finlandia non è mai riuscita a conquistarsi un posto nel torneo iridato, e il cruccio maggiore riguarda le qualificazioni a Francia ’98, quando gli scandinavi furono mancarono lo spareggio per un solo punto in favore dell’Ungheria, successivamente eliminata dalla Jugoslavia.

George Weah

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È impossibile minimizzare l’influenza di George Weah sullo sviluppo del calcio africano: capocannoniere della Champions League 1994/95 con la maglia del Paris Saint-Germain, e successivamente primo Pallone d’Oro non europeo della storia, nonché bandiera del Milan, Weah non è mai riuscito a raggiungere alcun risultato di prestigio con la sua nazionale. La Liberia è infatti un piccolo paese africano profondamente instabile e a livello politico, e con una tradizione nel calcio abbastanza modesta.

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Il massimo che George Weah sia riuscito a ottenere con la sua nazionale sono state due qualificazioni alla Coppa d’Africa, ottenute nel 1996 e nel 2002, ma entrambe chiuse al primo turno. La squadra non ha mai avuto una rosa equilibrata, anche solo vagamente all’altezza della sua stella: dopo di lui, i più noti calciatori liberiani dell’epoca erano Zizi Roberts (ex-Milan, Monza e Ravenna) e Christopher Wreh, cugino dello stesso Weah (ed ex-Monaco e Arsenal). Oggi, un noto calciatore liberiano è Alphonso Davies, la cui famiglia è emigrata in Canada, permettendogli di giocare per la formazione nordamericana.

George Best

Ala destra eccezionale, icona della moda e mito che travalica il senso stesso del gioco del calcio, George Best è stato una bandiera del Manchester United, trascinatore durante la conquista della Coppa dei Campioni 1967/68, la prima di un club inglese. Nativo di Belfast, quand’era adolescente, l’Irlanda del Nord disputò il suo primo Mondiale, eliminando l’Italia dalle qualificazione per Svezia 1958, e arrivò fino ai quarti di finale. Purtroppo, da lì in avanti la formazione britannica entrò in crisi.

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Al momento del suo esordio in nazionale, nel 1964, l’Ulster aveva saltato l’edizione del 1962, ma puntava tutto su Best per andare a disputare il Mondiale inglese del 1966. Invece, l’Irlanda del Nord rimase fuori dal torneo per un punto soltanto, dietro la Svizzera; di nuovo, nel 1970, mancarono solo due punti per prendere la testa del girone, occupata invece dall’Unione Sovietica. Best partecipò anche alle qualificazioni per i due successivi tornei, che però furono molto più anonime per gli irlandesi.

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Nel frattempo, la stella di George Best era tramontata anzitempo: a causa della sua vita sregolata, nel 1974 aveva lasciato il Manchester United, anche se in realtà già da qualche anno era solo l’ombra di un calciatore professionista. Il crollo dell’Irlanda del Nord si spiega anche con il declino della sua più grande stella, che si ritirò dalla nazionale nel 1979, con 9 reti in 37 partite. Pochi anni dopo, l’Ulster, senza il più forte dei calciatori della sua storia, tornava ai Mondiali in occasione dell’edizione spagnola.

Arthur Friedenreich

Ai più questo nome non dirà nulla, ma Arthur Friedenreich è stato il primo grande fuoriclasse della storia del calcio brasiliano. Figlio di un tedesco e di una donna afro-brasiliana, fu un’assoluto protagonista del calcio carioca tra gli anni Dieci e Trenta, segnalandosi come un implacabile attaccante dotato di una visione di gioco inusuale per un giocatore della sua epoca.

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In carriera dovette superare l’ostacolo del razzismo (che lo costringeva a lisciarsi i capelli con la brillantina, per assomigliare di più ai bianchi), e fu protagonista nelle due Coppe America vinte dal Brasile nel 1919 e nel 1922. Quando fu organizzata la prima edizione dei Mondiali, nel 1930, aveva ormai già 38 anni e non venne convocato. Tuttavia, giocò ancora per altri cinque anni, stabilendo il record mondiale di gol in carriera (1.329 in 1.200 partite), che però non è mai stato omologato a causa della difficoltà nel verificarlo.

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Valentino Mazzola

Eccezionale numero 10 del Torino, che lo aveva acquistato nel 1942 dal Venezia, divenne il simbolo della squadra che dominava il calcio italiano dell’epoca e rappresentava dieci undicesimi della Nazionale. Al di là delle sue eccezionali doti tecniche e di leadership, Mazzola fu una sorta di eroe popolare, idolo della città che era il cuore del boom economico e, per tanto, emblema di un’Italia che stava lottando per mettersi alle spalle la povertà, la guerra e la dittatura.

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Un'infanzia durissima e una grande povertà scandirono i primi anni di vita a Cassano d'Adda del giovane Valentino Mazzola che, per dare una mano in famiglia, iniziò a lavorare da ragazzino come meccanico nello stabilimento dell'Alfa Romeo a Milano. Nel 1942 riuscì a scampare al conflitto mondiale poichè si fece segnalare dalla Fiat come operaio fondamentale per la produzione bellica. Era una persona silenziosa e riservata, con abitudini quasi certosine, molto lontana dalla concezione moderna di calciatore. Dopo la gavetta nella squadra aziendale dell'Alfa Romeo, fu acquistato prima dal Venezia e poi da Torino, squadre con cui espresse tutte le sue doti. Sotto il profilo tecnico era dotato di un grandissimo controllo di palla e di una strabiliante visione di gioco, nonchè di una magistrale freddezza sotto porta. Grazie alla sua immensa duttilità ricoprì tutti i ruoli del centrocampo e dell'attacco, fino a giocare da terzino, sempre con ottimi risultati. Il suo importante bagaglio tecnico e la sua sconfinata intelligenza tattica lo resero il primo giocatore "totale" della storia, trent'anni prima della rivoluzione calcistica olandese. Enzo Bearzot lo paragonò, per via della sua velocità e resistenza, ad Alfredo Di Stefano, leader indiscusso del Real Madrid degli anni '50. Con la maglia del Torino segnò un epoca vincendo cinque scudetti ma restando sempre il ragazzo umile, chiuso e introverso che era sempre stato. Morì il 4 Maggio nella strage aerea di Superga insieme a tutti i suoi compagni e amici del Toro lasciando due figli, Sandro e Ferruccio, che diventeranno anch'essi calciatori. Un campione che si spense a soli 30 anni. Un capitano e una persona unica, un giocatore fenomenale e un idolo per tutti. Valentino Mazzola. ✒@nostalgiacalcistica

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Da Mazzola e dai suoi compagni del Grande Torino, l’Italia si aspettava un ruolo di primissimo piano ai Mondiali del 1950, dove gli Azzurri avrebbero potuto conquistare definitivamente la Coppa Rimet. Purtroppo, il 4 maggio 1949, l’aereo che riportava a casa il Torino da un’amichevole a Lisbona si schiantò, a causa della fitta nebbia, contro la Basilica di Superga, e nessuno sopravvisse. Suo figlio Sandro, però, sarebbe stato nella Nazionale finalista ai Mondiali del 1970.

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Laszlo Kubala

Ungherese figlio di cecoslovacchi, Kubala fu indubbiamente uno dei più forti giocatori della sua generazione, un grandissimo attaccante insuperabile nel dribbling. Inizialmente giocò per il pase dei genitori, ma nel 1948 accettò la chiamata dell’Ungheria, andando a far parte della generazione d’oro del calcio magiaro, che avrebbe poi vinto l’oro olimpico del 1952 e raggiunto la finale mondiale del 1954. Ma nel 1949 l’Ungheria entrò nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica, e Kubala decise di fuggire.

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Nascosto in un camion, arrivò in Austria e, da lì, si trasferì prima in Italia e poi in Spagna. Così, perse l’occasione di far parte della Squadra d’Oro ungherese; fu invece la stella, per tutti gli anni Cinquanta, del Barcellona, assumendo la cittadinanza spagnola. Malauguratamente per lui, le Furie Rosse del periodo erano una squadra ben poco competitiva, e non riuscirono mai a qualiicarsi ai Mondiali.

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Bernd Schuster

La storia dell’esclusione di Schuster dalla Germania Ovest è una delle più assurde che si siano mai sentite. Centrocampista elegante e ordinato, emerse nel Colonia di fine anni Settanta, per poi diventare una colonna del Barcellona nel decennio successivo, dopo aver brillato a Euro 1980: aveva portato la sua nazionale al titolo, ed era arrivato secondo nella classifica del Pallone d’Oro a soli 21 anni.

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Ebbe però diversi contrasti con i senatori della Germania e, nel 1984, si verificò il fattaccio: si era accordato col Barcellona per giocare un’amichevole con la nazionale contro il Brasile, e poi tornare subito in Spagna per una delicata sfida di campionato; così, la sera dopo l’amichevole, andò dritto a dormire per alzarsi presto la mattina, saltando la festa organizzata dai compagni, che non la presero bene. Schuster cercò di contattare il ct per spiegare l’equivoco, ma l’operatore telefonico gli passò la persona sbagliata; voci e incomprensioni si sommarono senza alcun chiarimento, e il risultato fu che Schuster non venne più convocato.

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Abedi Ayew Pelé

Uno dei più geniali attaccanti del calcio africano, prototipo del calciatore ghanese tecnico ed estroso, Abedi Ayew, noto anche come Abedi Pelé (e potete immaginare perché) è stato un talento incredibile, che ha brillato soprattutto tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta con le maglie di Lille e Marsiglia, dove vinse la Champions League 1993, e poi più limitatamente nel Torino.

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A dispetto del grande talento che il Ghana ha sempre potuto schierare in campo, non riuscì mai a qualificarsi ai Mondiali durante la carriera di Abedi Ayew, che con la nazionale riuscì solo a vincere la Coppa d’Africa del 1982. In compenso, i suoi figli André e Abdul Rahim sono stati tra i protagonisti dei quarti di finale raggiunti dalle Black Stars nel 2010.

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Massimo Bonini

Mediano stacanovista ed eroe anonimo della Juventus del Trap degli anni Ottanta, in cui faticava per Platini, Bonini fu assolutamente uno dei centrocampisti di rilievo della Serie A dell’epoca. Soprattutto, fu un atleta consapevole e coraggioso, che prese una decisione insolita nella sua carriera: si rifiutò sempre di giocare nella nazionale italiana, per non rinunciare alla chiamata di San Marino, il suo paese natale.

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Una decisione resa ancora più incredibile dal fatto che San Marino, all’epoca, non aveva una selezione di calcio. Il successo di Bonini, però, fu tale da spronare gli appassionati sammarinesi, che così nel 1990 affiliarono la propria Federcalcio alla UEFA e iniziarono a competere ufficialmente a livello internazionale, partecipando alle qualificazioni a Euro 1992. Ovviamente, con Bonini capitano.

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Eric Cantona

Incredibile ma vero, Cantona, proprio come George Best, non ha mai disputato un Mondiale. Talento cristallino, King Eric ha avuto la grande sfortuna di vivere nel periodo sbagliato (e di nascere con un pessimo carattere): dopo l’esplosione da giovane nell’Auxerre, finì escluso dalla Francia per aver insultato il ct Platini, e altri suoi discussi comportamenti ne causarono l’allontanamento dal Marsiglia.

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Si consacrò, quindi, lontano dai confini nazionali, prima al Leeds e poi al Manchester United, ma durante i suoi anni migliori, la Francia restò esclusa dal Mondiale americano del 1994. Sempre in polemica con la Federazione, Cantona si ritirò dalla nazionale nel 1995 e, due anni dopo, annunciò un clamoroso addio al calcio a soli 31 anni, per dedicarsi alla recitazione. Un anno dopo, si tennero i Mondiali di Francia 1998, vinti proprio dai Bleus.

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Bruce Gobbelaar

Un balletto sulla linea di porta lo ha consegnato per sempre alla storia del calcio: il portiere del Liverpool divenne l’eroe, prima di Jerzy Dudek, della Coppa dei Campioni vinta ai rigori nel 1984 contro la Roma. Ma la sua è una storia molto particolare, che ha origine nella natia Durban, in Sudafrica. La famiglia Grobbelaar si trasferì che Bruce era ancora un ragazzo in Rhodesia, cioè l’attuale Zimbabwe, con la cui nazionale esordì nel 1977.

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La situazione del calcio nello Zimbabwe dell’epoca, così come nel vicino Sudafrica, era molto complicata sul piano politico, a causa delle politiche razziste del governo bianco, e ciò limitò molto lo sviluppo calcistico del paese. Il miglior risultato che Grobbelaar ha potuto raggiungere con la nazionale, quindi, è stata la qualificazione sfiorata ai Mondiali del 1994, per due soli punti dietro al Camerun.

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Alberto Spencer

Sentir parlare del più grande calciatore ecuadoregno di tutti i tempi, oggi, potrebbe far ridere, visto che la nazionale sudamericana è rimasta quasi del tutto sconosciuta fino alla qualificazione ai Mondiali del 2002, dove affrontò l’Italia. Invece, Alberto Spencer è considerato uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio, un goleador completo che detiene il record di marcature nella storia della Copa Libertadores.

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Maiores Artilheiros da Copa Libertadores | 1960 – Presente. Nome dos Jogador e Gols por Clube: Alberto Spencer. Peñarol – 48 gols. Barcelona – EQU – 6 gols. Fernando Morena. Peñarol – 37 gols. Pedro Rocha. Peñarol – 25 gols. São Paulo – 10 gols. Palmeiras – 1 gol. Daniel Onega. River Plate – 31 gols. Júlio Morales. Nacional – 30 gols. Antony de Ávela. América Cali – 27 gols. Barcelona – EQU – 2 gols. Juan Carlos Samari. Universidad do Católica – 12 gols. River Plate – 10 gols. Universidad do Chile -4 gols. Independente Santa Fé – 3 gols. Luizão. Corinthians – 15 gols. Vasco – 8 gols. São Paulo – 5 gols. Grêmio – 1 gol. Oswaldo Ramirez. Universitario – 15. Sporting Crystal – 7. Sport Boys – 4. Palhinha. Cruzeiro – 20 gols. Corinthians – 3 gols. Atlético-MG – 2 gols. Curti e comenta o que achou do post e Compartilha com os amigos. Se usar nossas artes dê os Créditos. Deixe sugestões de outros campeonatos.

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Spencer ha legato la sua carriera al Peñarol, il club uruguayano in cui ha militato con successo per tutti gli anni Sessanta, durante i quali fu il grande rivale continentale di Pelé e del suo Santos. Purtroppo, in nazionale predicava nel deserto (massimo risultato: il quarto posto alla Copa America casalinga del 1959), e a un certo punto della sua carriera accettò anche di giocare alcune partite per l’Uruguay, senza però mai disputare un Mondiale.

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Eduard Streltsov

Per chi identifica il calcio russo con la plastica figura del portiere Lev Yashin, Eduad Streltsov sarà una sorpresa: attaccante poliedrico e moderno, stella di una delle squadre tatticamente più moderne che il calcio degli anni Cinquanta abbia prodotto (la Torpedo Mosca allenata da Viktor Maslov), Streltsov si impose fin da giovanissimo come uno dei più grandi talenti di tutta l’Unione Sovietica, risultando tra i protagonisti dell’oro olimpico di Melbourne 1956.

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Ma era anche un uomo dallo spirito ribelle e cocciuto, caratteristica già molto difficile da sposare con la disciplina sportiva, ma ancor di più con un rigido regime dittatoriale. Streltsov era refrattario a ogni gerarchia, e rifiutò sia il trasferimento al CSKA (la squadra dell’esercito) che quello alla Dinamo (la squadra del KGB). Per ripicca, finì ingiustamente accusato di violenza sessuale e costretto a confessare in cambio della possibilità di giocare i Mondiali del 1958.

Invece, fu preso e spedito in un gulag in Siberia, dove restò fino al 1965 a lavorare nelle miniere. Quando fu liberato aveva 28 anni, ma aveva perso gli anni migliori della sua carriera; tornò a giocare alla Torpedo, ma senza più riuscire a recuperare lo smalto di un tempo. Nel 1990 morì di cancro, sviluppatosi probabilmente durante gli anni siberiani.

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