Il 10 ottobre 1974 nasceva Julio Ricardo Cruz, attaccante argentino ed eroe a sorpresa dell’Inter degli anni Duemila.
È il 30 novembre 2003: l’Inter sta faticosamente cercando di tirarsi su in classifica dopo il terribile avvio che ha portato all’esonero di Hector Cuper, rimpiazzato da Zaccheroni, e ora si trova ad affrontare una difficile sfida a Torino contro la Juventus, per giunta senza il suo bomber Bobo Vieri. Dopo 11 minuti, Julio Cruz batte una punizione di destro che si allarga e rientra sotto l’angolino, e fa 1-0. Nel secondo tempo, ancora l’argentino, in contropiede, firma la sua prima doppietta in nerazzurro.
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Finirà 3-1 per l’Inter: una storica vittoria al Delle Alpi, che mancava da troppo tempo, riporta i nerazzurri al quarto posto in Serie A. E così, all’improvviso, El Jardinero (soprannome affibbiatogli in Argentina, da un giornalista che lo aveva visto salire per scherzo su un trattore) passa da comprimario arrivato in nerazzurro in punta di piedi a eroe popolare. Saranno 11, le reti segnate in stagione, e in sei annate farà registrare 197 presenze e 75 reti complessive.
Cruz: arrivare in punta di piedi
L’acquisto di Cruz non era certo stato dei più esaltanti: nel giro di pochi anni, l’Inter aveva dovuto rinunciare prima a Ronaldo e poi a Crespo, e Cuper – spesso accusato di essere troppo vincolato ai suoi connazionali – aveva scelto di riempire il posto in attacco con questo modesto attaccante del Bologna, costato appena 9,5 milioni di euro.
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Il suo ruolo era quello di riserva, e neppure di primo piano: Vieri e Recoba erano i titolari nel 4-4-2 del Hombre Vertical, e alle loro spalle la gerarchia vedeva prima di tutto la stella della Primavera Obafemi Martins, e poi l’altro africano Mohammed Kallon. Cruz doveva riuscire a ritagliarsi uno spazio tra questi quattro.
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Era un attaccante difficilmente decifrabile, alto come un centravanti ma leggero come un trequartista. A Bologna faceva da spalla a Beppe Signori, e in tre stagioni aveva raccolto appena 27 reti, non certo i numeri da attaccante di una squadra che voleva lottare per lo scudetto. Cuper lo vedeva più come prima punta, come sostituto di Vieri, ma i suoi esordi con l’Inter furono piuttosto deludenti.
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La sua carriera era iniziata nel Banfield, ma era stato al River Plate, nella stagione 1996-97, che Julio Cruz era esploso, segnando 17 reti in campionato in una squadra di grandissimo valore: in panchina sedeva Ramon Diaz, e in campo c’erano Roberto Bonano, Eduardo Berizzo, Juan Pablo Sorin, Pablo Aimar, Enzo Francescoli, Marcelo Gallardo, Santiago Solari e Marcelo Salas. Insomma, Cruz era riuscito ad affermarsi in un contesto zeppo di campioni.
Quella stagione gli valse il passaggio in Europa al Feyenoord. A Rotterdam vinse un campionato e si confermò con un attaccante piuttosto affidabile, rendendo al meglio in coppia con Jon Dahl Tomasson. Trasferendosi al Bologna di Guidolin, in un contesto tattico più chiuso, i suoi numeri calarono, raggiungendo a stento la doppia cifra. A 29 anni, l’Inter era per Cruz un’occasione più grande di quanto non fosse lui per i nerazzurri.
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Cruz: la consacrazione con Zaccheroni
L’esonero in corsa di Cuper e l’approdo di Zaccheroni comportarono un cambio nel gioco dell’Inter, passando al 3-4-3. Zac decise di costruire il suo fronte offensivo su un centravanti (Vieri o, in alternativa, Martins: entrambi giocatori fisici e dotati di grande progressione), assistito da un’ala (Van der Meyde) e da una seconda punta (che poteva essere Recoba o appunto Cruz). El Jardinero trovò così spazio come punta libera di svariare tra le linee, facendo valere sia i centimentri che la tecnica.
La doppietta contro la Juventus gli fece smettere la toga dell’oggetto misterioso per diventare un idolo dei tifosi (da lì in avanti, la Vecchia Signora sarebbe divenuta uno dei suoi bersagli preferiti), dandogli la sicurezza necessaria per confermare le sue prestazioni nel tempo. Al punto che, anche dopo l’arrivo a gennaio di Adriano, Cruz continuò a essere una delle prime scelte di Zaccheroni, erodendo progressivamente la leadership di Vieri.
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Anche successivamente, con Mancini in panchina, El Jardinero seppe mantenere il posto in squadra, e anzi visse i suoi anni d’oro, sebbene avesse più di 30 anni: nel 2006, 21 reti in 45 partite, e nel 2008 19 in 38 match, venendo premiato come capocannoniere della Coppa Italia.
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Idolo interista
Ciò che colpisce di più della carriera di Cruz, è come sia riuscito, nonostante lo scarso prestigio che si portava appresso, a diventare uno dei punti di riferimento dell’Inter a dispetto di tanti campioni. Nei suoi anni in nerazzurro, riuscì a sopravvivere alla concorrenza di Vieri, Recoba, Adriano, Crespo (tornato a Milano nel 2006) e Ibrahimovic. Nella stagione 2007-28, quando aveva già 33 anni, fu l’attaccante più utilizzato da Mancini, nonostante l’agguerrita concorrenza.
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A Milano vinse quattro campionati, tre Coppe Italia e due Supercoppe italiane, affermandosi come il vero simbolo della rinascita dell’Inter, che avrebbe poi spianato la strada al biennio di Mourinho e al triplete.
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Impresa, però, che El Jardinero visse da casa sua, nell’elegante tenuta La Lorenita (dedicata alla moglie Lorena, ex-tennista conosciuta da ragazzo nel club sportivo del Banfield). Tra Mourinho, l’età che avanzava, l’ascesa di Balotelli e gli arrivi di Milito ed Eto’o, Julio Cruz lasciò l’Inter per un’ultima stagione alla Lazio: 30 presenze e 4 gol, ma soprattutto un altro titolo, la Supercoppa italiana vinta proprio contro la sua Inter.
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