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Oscar Tabarez è il commissario tecnico più longevo del calcio mondiale. E, contro la Colombia, vinto la partita numero 100 alla guida dell’Uruguay

Il 3-0 sul campo della Colombia consegna tre punti molto importanti all’Uruguay, chiamato a vendicare la disfatta sul campo dell’Ecuador. Ora, la Celeste guarda con più ottimismo al futuro: oltre ad aver vinto, infatti, l’Uruguay ha ritrovato anche i suoi due bomber principi, Luis Suarez ed Edinson Cavani, oltre a ‘battezzare’ la prima rete in nazionale maggiore di Darwin Nuñez.

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Dopo la rete che ha chiuso la partita, le telecamere hanno indugiato su Oscar Tabarez: mentre tutti esultavano per la rete del giovane talento del Benfica, il Maestro prendeva qualche appunto e guardava nel vuoto, quasi disinteressato. In realtà Tabarez è sempre stato un tipo posato, rispettoso e serafico, a tal punto che nemmeno la vittoria numero 100 sulla panchina dell’Uruguay pare averlo scalfito.

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Oscar Tabarez, 100 vittorie per il Maestro

Cento vittorie. Un traguardo molto importante, ottenuto dopo un trentennio quasi interamente dedicato al ‘suo’ Uruguay, che non ha mai lasciato veramente nemmeno quando ha tentato – con alterne fortune – l’avventura in Europa. Tabarez, infatti, era già stato alla guida della Celeste tra il 1988 e il 1990, accompagnando la selezione di Francescoli e soci nel Mondiale di Italia ’90.

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Ritornato a Montevideo nel 2006, ha ripreso la striscia di panchine messa in stand-by anni prima e, con la partita di Barranquilla, il Maestro ha toccato quota 205 match diretti nel ruolo di commissario tecnico. A 73 anni, nonostante diversi problemi di salute, non ha ancora intenzione di mollare, nonostante il post Mondiale 2018 sia stato abbastanza critico. Lui però non ha mollato, facendo intuire di essere ancora il prescelto per guidare l’ormai ennesimo ricambio generazionale.

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Parlare di Oscar Tabarez in Italia rischia di diventare esercizio complicato, perché il Maestro – in Europa – non è mai stato compreso fino in fondo. Il suo essere ‘hombre vertical’ lo ha penalizzato nei rapporti con società e calciatori, ma anche con la stampa. Inoltre, dopo l’ottimo inizio a Cagliari, sbagliò completamente la scelta del Milan, che non gli diede tempo e materiale per poter lavorare in assoluta tranquillità.

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Berlusconi, che ai suoi allenatori non ha mai risparmiato frecciate, lo scelse per sostituire il partente Capello, ma quando le cose si misero male – l’avventura di Tabarez al Milan cominciò con una sconfitta in Supercoppa contro la Fiorentina – ci mise poco a cacciarlo. “Tabarez? – dirà qualche tempo dopo il Cavaliere – più che un allenatore sembrava un cantante di Sanremo“. Troppa qualità e talenti svogliati per un costruttore come lui: a dicembre la favola si è già conclusa.

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Tabarez, da signore, non è mai tornato su quella particolare esperienza, guadagnata in seguito al grande lavoro fatto in patria. Già negli anni Ottanta, infatti, il suo era un nome sulla breccia: prima di guidare la nazionale agli ottavi di finale del Mondiale italiano, il Maestro riportò in Uruguay la Copa Libertadores vincendola alla guida del Peñarol. Poi Deportivo Cali, Boca Juniors – dove vince un campionato -, l’Italia e il ritorno in Argentina, dove costruisce le basi di un Velez che di lì a poco tornerà protagonista.

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La ricostruzione dell’Uruguay

Gli anno Novanta, nonostante l’enorme mole di talento, sono stati tragici per l’Uruguay, che partecipa solo a Francia ’98 e forse, a posteriori, se la Celeste non fosse mai partita per Parigi ci avrebbe guadagnato. Oscar Tabarez riprende le redini della nazionale nel 2006 e la riporta ai fasti dei decenni successivi. Arriva quarto al Mondiale 2010, vince la Copa America l’anno successivo e passa in scioltezza le prime fasi dei campionati del mondo successivi.

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La generazione d’oro della Celeste è interamente farina del suo sacco. Diego Godin, Luis Suarez, Edinson Cavani sono le stelle che, in tempi differenti, hanno speso parole di elogio per il loro commissario tecnico. Una sorta di secondo padre, capace di usare bastone e carota, insegnare e rimbrottare quando era il caso. Un confidente, ma anche un motivatore. Fernando Muslera ha dichiarato di aver trovato il suo massimo splendore dopo un colloquio avuto con Tabarez. Insomma, un educatore.

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Gli anni della malattia e la sua filosofia

D’altronde, il soprannome di Maestro è figlio proprio del fatto che, prima di sedersi in panchina, Oscar Tabarez insegnava nelle scuole di Montevideo. A 73 anni è ancora sulla breccia dell’onda, ma di recente il tecnico ha dovuto fare i conti con la Sindrome di Guillain-Barrè, una malattia autoimmune che attacca gli arti inferiori e superiori rendendo difficile la deambulazione. Nel match di qualificazione a Russia 2018 si è presentato in campo in carrozzina, nonostante il medico gli avesse consigliato il riposo.

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Gli avversari gli hanno reso omaggio a più riprese. La tenacia che lo contraddistingue lo ha portato a continuare la sua avventura sulla panchina dell’Uruguay nonostante la federazione gli avesse domandato a più riprese se se la sentiva. Lui ha detto sì, “perché decido io quando smetto”. Elettore del ‘Frente Amplio’, movimento progressista uruguayano dal quale proviene anche l’ex presidente Pepe Mujica, ha definito il calcio come “sport di destra, mentre gli allenatori rappresentano la sinistra”.

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“Siamo sempre alla ricerca dell’Utopia – disse tempo fa – lavoriamo per valorizzare un progetto oltre le sconfitte. L’Utopia è il mio orizzonte: avanzo di due passi e lui arretra. Ma l’importante è camminare”. La centesima vittoria alla guida dell’Uruguay, quindi, rappresenta solo l’ennesimo step di una carriera nella quale, probabilmente, Oscar Tabarez ha raccolto meno di quanto meritasse. Ma, come disse Costacurta riferendosi proprio al Maestro, “nella vita si può essere grandi senza vincere sempre”.

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