Perché Griezmann e Mbappé hanno criticato la polizia francese

Griezmann e altri noti calciatori francesi hanno preso una coraggiosa posizione politica in questi giorni riguardo un caso di violenza da parte di agenti di polizia a Parigi, che sta facendo molto discutere.

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“La mia Francia mi fa male”. Un commento breve, semplice e fortissimo, quello di Antoine Griezmann: è il pomeriggio del 26 novembre, e il fuoriclasse del Barcellona e campione del mondo pubblica sul suo profilo Twitter un video che sta facendo discutere la Francia, in cui si vedono tre poliziotti che picchiano un uomo inerme.

Griezmann ha chiesto al ministro degli interni Darmanin di agire per impedire che cose del genere si ripetano, e il mondo del calcio transalpino si è presto unito alla battaglia: all’attaccante si sono aggiunti Benjamin Mendy, Samuel Umtiti, Alexandre Lacazette, Layvin Kurzawa e, ovviamente, l’altra grande stella del calcio francese Kylian Mbappé, che su Instagram ha detto, citando una canzone rap: “La mia Francia ha valori, principi, codici: non vive di menzogna“.

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Violenza polizia francese, il video

Griezmann ha pubblicato un video del sito d’informazione Loopsider che ritrae eventi avvenuti la sera di sabato 21 novembre: tre poliziotti avevano arrestato un uomo afrofrancese – identificato come Michel, un produttore musicale – fuori da uno studio di registrazione del 17° arrondissement di Parigi. L’uomo era stato fermato perché non indossava la mascherina, ma a un certo punto – secondo la versione dei poliziotti – avrebbe tirato gli agenti dentro lo studio, aggredendoli e costringendoli a usare le maniere forti.

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Il video di Loopsider, ricavato da una telecamera di sicurezza, smentisce però categoricamente quanto riportato dai tre poliziotti, mostrando un’aggressione deliberata a una persona inerme; Michel ha poi rivelato di avere subito anche insulti razzisti. Una decina di collaboratori di Michel, intervenuti per fermare il pestaggio, sono stati a loro volta aggrediti, picchiati e arrestati.

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Il video ha creato un certo trambusto, costringendo il ministro Darmanin a comparire in televisione a chiarire i fatti e annunciare la sospensione degli agenti. Ma il problema delle volenze della polizia – la cosiddetta police brutality – è molto avvertito in Francia: negli ultimi mesi, le proteste americane di Black Lives Matter hanno avuto particolare eco nel paese, e gli attivisti hanno portato alla luce numerosi casi di violenza da parte delle forze dell’ordine.

Se torniamo indietro alla rivolta delle banlieue del 2005, scopriamo che anche allora il motivo scatenante fu una conseguenza del comportamento della polizia: due giovani morirono e un terzo restò gravemente ferito, mentre si nascondevano in un trasformatore elettrico per sfuggire agli agenti, che li inseguivano per non si sa bene quale crimine. Allora, molti calciatori presero posizione contro la polizia e il governo, come Lilian Thuram.

Allora come oggi, il potere politico usava la Nazionale come simbolo di un’integrazione che in realtà, fuori dal mondo del calcio, spesso non esisteva. A inizio novembre, è stato realizzato uno spot con i calciatori della Francia, tra cui appunto Griezmann, per ricordare i valori repubblicani dopo il tragico omicidio di un professore di storia da parte di alcuni militanti islamisti. Pochi giorni dopo, i giocatori hanno quindi criticato le istituzioni per essere venute meno alla difesa di quei valori di cui il calcio era stato usato come ambasciatore.

Ma dietro alle parole di Griezmann e Mbappé si estende una complessa situazione politica, acuitasi nelle ultime settimane con la proposta della nuova legge sulla sicurezza voluta da Emmanuel Macron, che tra le altre cose prevede fino a un anno di carcere per chi diffonde immagini lesive “dell’integrità fisica e morale” della polizia. In pratica, un legge per impedire la pubblicazione di video come quello di Loopsider.

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Da anni, i Bleus sono al centro di polemiche per l’alta concentrazione di “stranieri” (in realtà, francesi di pelle scura) nelle sue fila. Polemiche alimentate in prima persona da esponenti di spicco del Front National fin dalla metà degli anni Novanta, quando Jean-Marie Le Pen diceva: “È un po’ artificioso convocare giocatori dall’estero e poi chiamarla squadra francese”.

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In Francia, il ruolo sociale dei calciatori non è una novità: fin dai tempi di Raymond Kopa o dei franco-algerini che disertarono per giocare con la selezione dell’Algeria durante la guerra d’indipendenza, il mondo del calcio transalpino è abituato a vedere i suoi giocatori parlare di politica e agire politicamente.

Ecco perché Griezmann è stato così decisivo per questo dibattito, dentro ma anche fuori dai confini nazionali. D’altronde non è la prima volta che l’attaccante del Barcellona si espone a livello sociale: nel maggio del 2019, aveva detto che “l’omofobia non è un’opinione, ma un delitto”, rivelandosi uno dei pochi calciatori a parlare di questo problema. A novembre dello stesso anno, Griezmann si era schierato a sostegno delle calciatrici della Liga, che avevano deciso uno sciopero per vedersi riconosciuti più diritti e migliori condizioni di lavoro. Ancora, lo scorso ottobre ha difeso il compagno Ansu Fati da un articolo razzista apparso su ABC.

Anche Kylian Mbappé, come Griezmann, non ha mai fatto mancare la sua voce sulle cause politiche, schierandosi più volte contro il razzismo. Un mese fa, l’attaccante del PSG ha preso anche un’importante posizione chiedendo la fine della crisi anglofona in Camerun, terra d’origine del padre: una guerra in corso dal 2017 e praticamente sconosciuta in Europa, ma che ha già causato oltre 3.000 morti e centinaia di migliaia di profughi.

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Valerio Moggia
Valerio Moggia
Nato a Novara nel 1989, è il curatore del blog Pallonate in Faccia, ha scritto per Vice Italia e Rivista Undici, e collabora con la rivista digitale Linea Mediana.

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