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Mamadou Sakho finalmente riabilitato: la WADA ammette che non fu doping

Calcio EsteroMamadou Sakho finalmente riabilitato: la WADA ammette che non fu doping

Dopo oltre quattro anni, Mamadou Sakho è riuscito a ottenere le scuse della WADA e un risarcimento per le false accuse di doping che lo colpirono ai tempi del Liverpool, complicando non poco la sua carriera come calciatore.

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Non era doping. Tre parole che significano moltissimo per Mamadou Sakho, ex-difensore di PSG e Liverpool oggi al Crystal Palace, a cui la WADA (World Anti-Doping Agency) ha riconosciuto l’errore commesso quattro anni fa, scusandosi e riconoscendogli un risarcimento monetario per il danno fatto alla sua immagine e alla sua carriera. Sì, perché da quel momento in avanti il percorso calcistico di Sakho, che oggi ha 30 anni, precipitò verso il basso.

“Sono felice per la mia famiglia, per i miei amici, per le persone che mi sono state accanto in questi anni difficili. Non è facile essere un atleta professionista e venire accusato di doping. È la cosa peggiore che possa capitarti” ha detto Sakho, dopo aver ricevuto le scuse ufficiali della WADA.

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L’accusa di doping

A fine aprile del 2016, la WADA aveva comunicato la positività di Sakho ai test antidoping seguiti a un match di Europa League tra Manchester United e Liverpool, conclusosi sull’1-1 per i Reds, che in virtù della vittoria dell’andata avevano ottenuto l’accesso ai quarti di finale.

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Inizialmente, la UEFA aveva disposto un periodo di sospensione di 30 giorni per il difensore francese, che significava la fine anticipata della sua stagione e che avrebbe potuto essere l’antipasto a una squalifica dai 5 agli 11 mesi. Nel calcio, i casi doping non sono poi così frequenti, e di conseguenza quei pochi, specialmente ad alti livelli, sono trattati con molta severità da istituzioni, club e tifosi: la reputazione di Sakho fu immediatamente rovinata, il Liverpool lo sospese a tempo indeterminato, a il ct della Francia Didier Deschamps decise di non convocarlo per gli Europei, nonostante fosse un titolare.

Ma la verità fu presto svelata: a fine maggio, la UEFA comunicava di aver svolto ulteriori analisi e aver appurato che l’higenamina trovata nel sangue di Sakho, come componente di un farmaco per bruciare i grassi, non rientrava tra le sostanze dopanti indicate dalla WADA (ma sarebbe stata inserita nell’elenco dal 2017). La sospensione fu annullata e non si procedette alla squalifica. Ma ormai, il danno era fatto.

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Le conseguenze per la carriera di Sakho

Quello che successe dopo è difficilmente spiegabile, se non considerando che è molto più facile screditare una persona che non riabilitarla: le accuse fanno sempre molta più impressione delle loro smentite. Deschamps decise di non rivedere la lista dei convocati per Euro 2016, preferendo così a Sakho Samuel Umtiti. Il Liverpool scelse di cederlo al Crystal Palace, una squadra che l’anno precedente aveva chiuso appena al quindicesimo posto in Premier League.

Mamadou Sakho aveva appena 26 anni, all’epoca, ed era nel pieno della carriera. Cresciuto in condizioni di estrema povertà nei sobborghi di Parigi, il difensore franco-senegalese aveva fatto il suo esordio nel PSG a 16 anni, e a 17 ne era già capitano, dimostrando doti da calciatore eccezionali. Aveva fatto tutta la trafila nelle nazionali giovanili, era stato eletto miglior giovane della Ligue 1 e a soli 20 anni giocava già nella prima squadra della Francia, mentre a 23 anni fu pagato 19 milioni di euro dal Liverpool.

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Da quelle accuse della primavera del 2016, tutto è cambiato. Sakho, che avrebbe potuto essere uno dei leader della generazione d’oro della Francia degli ultimi anni, perse il posto in Nazionale e venne sopravanzato da nuovi arrivati come Umtiti, Varane, Kimpembe e Lenglet, per tornare a vestire la maglia dei Bleus solo in un’occasione nel novembre 2018.

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Attenzione però a non confondere troppo i piani: le accuse a Sakho sono state profondamente ingiuste e meriterebbero conseguenze ben più gravi per chi le ha formulate, ed è indubbio che abbiano avuto un peso sulla carriera del giocatore. Tuttavia, il declino della carriera di Sakho non si spiega solo con questo: tecnicamente il difensore fu riabilitato già nel maggio 2016, a solo un mese dall’accaduto, e da allora ha continuato a giocare e ha avuto la possibilità di riprendersi.

Dal suo arrivo in Inghilterra, Sakho è stato spesso vittima di infortuni: tra l’estate del 2013 e quella del 2016, ha trascorso 283 giorni in infermeria, perdendo complessivamente 52 partite con il Liverpool. L’arrivo in squadra di Joel Matip e l’affermazione di Joe Gomez avevano reso meno certo il suo posto nei Reds sotto la gestione di Jurgen Klopp. Allo stesso modo, in Nazionale stavano emergendo dei giovani molto talentuosi che probabilmente lo avrebbero comunque relegato in panchina di lì a poco.

Le accuse hanno sicuramente dato un’accelerata a questo processo, hanno minato la sua sicurezza (e quindi la solidità delle prestazioni successive) e lo hanno tolto dal giro che conta, rendendolo invisibile ai club più quotati. Ma ancora una volta, sono stati gli infortuni a rendere difficile una sua piena ripresa con la maglia del Palace. Si spera solo che ora Sakho possa aver ritrovato la tranquillità e possa tornare a godersi il calcio, consapevole di aver ottenuto una importante vittoria personale e sociale.

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