martedì, Aprile 16, 2024

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Conte e l’Inter: quale brand vale di più?

Serie AConte e l'Inter: quale brand vale di più?

Prima Marotta, poi Antonio Conte. L’evoluzione dell’Inter dalla sua copia sfiancata delle stagioni pre-Zhang a quella di oggi ha portato i nerazzurri di nuovo in una élite nazional-europea. Merito del lavoro di tanti, anche del buon (epurato) Spalletti. Ma quest’anno, la scena l’ha presa tutta Antonio Conte e il suo presunto know-how vincente. Non che abbia fatto male, certo, ma quell’aggettivo “presunto”, studiando la sua comunicazione, merita una citazione d’onore.

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Perché se è vero che il potere logora chi ce l’ha, allora Conte si è logorato parecchio, e quell’allenatore bravo a vincere con i talenti meno accesi e con i giocatori meno forti, adesso è diventato più presuntuoso. Se ne è accorta tutta Italia con le sue dichiarazioni e il suo body language che hanno trascinato la squadra verso quel vortice di critiche che lo stesso allenatore accusava fin da subito. Dannati media!

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Alla fine a rimetterci sono sempre i tifosi. Quelli che con Antonio Conte si aspettavano una stagione super, con dei risultati altisonanti e delle vittorie storiche, si sono dovuti ricredere. Alla fine, quest’Inter non è stata molto diversa da quella di anno scorso.

Ci sono stati punti persi, soprattutto con le piccole (Sassuolo, Lecce, Cagliari, Bologna, e mettiamoci anche il Verona), ma anche una insostenibile e inaccettabile sofferenza in Europa. Quando la squadra sembrava vicino al miracolo, come la vittoria al Camp Nou contro il Barcellona o al Signal Iduna Park di Dortmund, alla fine ecco i gol degli avversari, e le speranze diventano illusioni.

Partite e prestazioni difficili da giustificare, per vantaggio e livello tecnico, e anche quel pareggio contro lo Slavia Praga – sull’eco dell’1-1 col PSV anno scorso – è stata la conferma che, anche quest’anno, l’Europa non sarebbe stata cosa interista. In pratica, quello che si era detto già con Spalletti quasi un anno fa.

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Il nervosismo, poi. Quello dell’ambiente per le reiterate novelle di spogliatoio con giocatori ubriachi (Brozovic), perennemente infortunati (Sanchez e Sensi) o distratti dal mercato (Lautaro Martinez); e quello dell’allenatore. Antonio Conte ha più volte attaccato la società e il grande architetto nerazzurro che ha scelto lui e la sua squadra, Giuseppe Marotta.

Accusare l’ad di leggerezza istituzionale e di poco supporto nel calciomercato sembra veramente fuori luogo. Soprattutto, considerando che l’Inter ha speso fra giugno e febbraio 176 milioni di euro.

antonio conte
Nicolò Barella è stato uno dei protagonisti di questa stagione dell’Inter, che lo ha pagato in estate 12 milioni di euro (per il prestito oneroso, più altri 25 per il riscatto) oltre al prestito di Radja Nainggolann. (Fonte immagine: profilo Twitter Inter)

Di fatto, può essere comprensibile il nervosismo verso i media che paiono interessarsi solo delle sfortune nerazzurre, ma per il resto, c’è ben poco da giustificare. Il brand Conte, che doveva insistere sull’atletismo – e l’ha fatto – e una struttura di squadra solida, si è visto ma non sempre sul campo, mentre fuori, è stata espressa solo tramite una inutile arroganza.

Di conseguenza, l’ambiente si è appassito negli ultimi mesi e una stagione iniziata e progredita alla grande si è avviata verso una conclusione sconcia e contorta. E non era necessario.

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L’Inter riparta da Conte, ma con più voce

Il brand Inter è molto forte, sia in Italia che all’estero. Le innovazioni tecnologiche e strutturali susseguitesi dall’arrivo degli Zhang hanno reso l’Inter un club molto più forte dal punto di vista commerciale.

E in campo, è corrisposta una parziale copertura di questo boom. Il livello tecnico si è alzato, sia negli undici che (in parte) in panchina, e anche l’allenatore, Conte, è un tecnico dal nome molto più squillante e famoso dei suoi predecessori (Spalletti, Pioli). Oltretutto, l’Inter è qualificata in Champions League da tre anni consecutivi, quattro con il prossimo. La visibilità internazionale ha ripreso a macinare con un ritmo impressionante.

Quindi i nerazzurri hanno tutto per diventare, nei prossimi anni, veramente gli anti-Juventus prospettati – erratamente, nei tempi – da un paio di stagioni. Sicuramente, questo presunto ruolo ha caricato si aspettative il mondo Inter quando non ce n’era bisogno, ma fondamentalmente, l’Inter quello che doveva fare lo ha fatto.

Ed è per questo che la voce della dirigenza ha ragione di prevalere nei confronti del suo allenatore. Antonio Conte non può chiedere la luna se il club non è ancora pronto per avere quello shuttle adatto, e quindi, serve proprio quello che troppo retoricamente ammettiamo mancare nel nostro calcio: la pazienza.

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L’Inter ha preso Conte per essere competitivi da subito, ma era impossibile propendere per l’obiettivo Scudetto o un profondo percorso in Champions League con questa squadra. E forse Conte non ha capito questo.

Perché pensava che la sua icona – status, brand, immagine – fosse più larga di quella del club che lo ha scelto, pretendendo da subito il risultato prospettato. Sbagliandosi. Ecco perché l’Inter si è ammaccata sul più bello, pur chiudendo la stagione nella posizione che gli merita – secondo o terzo posto.

Semplicemente, sarebbe bastato – per l’allenatore – essere più umile e meno prepotente, ricordando che è stato scelto per vincere ma che questo obiettivo, quando si compete contro la Juventus, difficilmente può realizzarsi nell’hic et nunc. Quindi ne sono derivati il recente nervosismo e le indelicate parole verso la dirigenza, tra l’altro mal accettate dai tifosi, in parte delusi dal comportamento di Conte, in parte d’accordo con le scelte dirigenziali.

All’Inter si tornerà presto a vincere se il ritmo di crescita è questo. Ma per farlo servono pazienza e umiltà, tratti che Conte, forse, non aveva creduto potessero servire dopo tre campionati italiani e una Premier League vinta. A educarlo, da buon maestro, ci penserà Marotta.

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