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Nel 2011 Neymar, appena 19enne, trascinò il Santos alla conquista di una Copa Libertadores inaspettata, gettando le basi per una carriera da fuoriclasse

Tra il 22 e il 23 giugno 2011, San Paolo si preparava a vivere una notte indimenticabile a ritmo di samba e follia. Attorno a Rua do Rosario, via nella quale cent’anni prima un manipolo di amici aveva fondato il club, i tifosi del Santos si erano dati appuntamento per festeggiare la vittoria della Copa Libertadores. Un esodo, quello alvinegro, cominciato direttamente dall’Estadio Pacaembú, dove pochi attimi prima il Peixe aveva alzato al cielo il trofeo più importante del continente.

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Il Santos si era laureato campione prevalendo nella doppia finale contro il Peñarol: dopo lo 0-0 di Montevideo, i brasiliani erano riusciti a imporsi 2-1 nel match di ritorno, trascinati dalle giocate di un ragazzino che, da lì a qualche anno, sarebbe diventato una delle stelle più luminose del calcio mondiale. Neymar Junior, a 19 anni, aveva già fatto capire che – dopo anni di parziale anonimato – il Brasile era finalmente tornato a produrre un talento dal potenziale straordinario.

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Il primo acuto in carriera: Neymar e la Libertadores 2011

Se nasci a San Paolo, cresci nel Santos e possiedi certe skills, il paragone con Pelé è inevitabile. Dal settore giovanile del Peixe sono usciti decine di calciatori di ottimo livello, ma la generazione dei classe 1992 ha avuto il merito di riaccendere il mito dei ‘Meninos da Vila’. Il centro sportivo alvinegro è rinomato in tutto il mondo, e solo nel nuovo millennio ha inondato il professionismo di giocatori dal grande spessore. Da Diego a Elano, passando per l’ex milanista Robinho. Fino, appunto, a Neymar.

O’Ney, soprannome quasi ‘chiamato’ per via dell’assonanza con O’Rey, ha saputo bruciare le tappe e confermarsi. Alla vigilia della Copa Libertadores 2011, il sito della Conmebol lo indicava come uno dei talenti in rampa di lancio, di quelli da tenere d’occhio perché promettono tanto. In realtà, l’impatto sulla manifestazione non fu altro che ciclonico: dopo aver segnato tre reti nella fase a gruppi, Neymar ne mette a segno altrettante nella seconda parte del torneo.

Uno ai quarti, quello contro l’Once Caldas, permette al Santos di chiudere i giochi per la qualificazione. In semifinale, un suo calcio di rigore sistema i conti nel match di ritorno contro il Cerro Porteño. Infine, la consacrazione in finale: in Uruguay il numero 11 del Santos viene fatto oggetto di una vera caccia all’uomo e la partita finisce a reti bianche. A San Paolo, alla fine di un primo tempo passato a prendere calci e incassare provocazioni, Neymar decide di risolvere da solo la partita, segnando con un gran destro il gol del vantaggio e servendo a Danilo, oggi alla Juventus, la palla del 2-0.

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Un’ascesa da predestinato

A posteriori si può certamente affermare che la Copa Libertadores del 2011 non fu un’occasione per farsi notare, quanto quella per potersi affermare definitivamente. Neymar, infatti, ha esordito con il Santos a 17 anni durante un match valido per il Paulistao, il campionato statale, trovando il primo gol da professionista alla seconda presenza. Un predestinato, come lo definì il sito Globo Esporte nel giorno successivo alla sua prestazione contro il Peñarol.

FINALMENTE ERIKSEN

Sulla sua maturazione ha inciso molto la presenza di Muricy Ramalho, che ne ha intuito l’attitudine da attaccante puro liberandogli le briglie verso un’anarchia tattica che, paradossalmente, gli complicherà l’adattamento nei primi tempi a Barcellona. Ma senza il lavoro di Ramalho, Neymar non sarebbe mai diventato come lo conosciamo oggi. Nel Santos agiva prevalentemente da punta, in un 4-4-2 schierato a quadrilatero, con la coppia Ganso più Elano a coprirgli le spalle e Zé Eduardo a fare il lavoro sporco. Una ricetta vincente, che aprirà al calciatore orizzonti inesplorati.

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Il tributo per il migliore del continente

Inutile dire che, nel 2011, Neymar venne insignito del premio come miglior giocatore assoluto dell’edizione di Libertadores, oltre ovviamente a essere inserito nella top 11 del torneo. Un riconoscimento meritato, raggiunto – come ricorderà lui stesso in un’intervista pochi giorni dopo – grazie in primis alla fiducia che gli era stata concessa da tecnico e compagni. Oltre, ovviamente, alla grande empatia sviluppata negli anni con il tifo santista.

Che, nel 2013, in vista della sua partenza per Barcellona gli dedica un vero e proprio omaggio sul prato del Pacaembú. Le lacrime si mischiano ai ringraziamenti da parte di un popolo che non vedeva un talento del genere dai tempi di Pelé. E che, a Neymar, riesce a strappare una mezza promessa: “Sono sempre stato tifoso del Flamengo – ha dichiarato in una recente intervista – ma se tornassi in Brasile lo farei solo per terminare la carriera al Santos”. Per conquistare di nuovo il Sudamerica come in quella notte del 2011: così lontana, ma ancora terribilmente viva.

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