Gli USA stanno trovando una svolta non solo a livello sportivo. Sempre più atleti come McKennie lanciano messaggi sociali forti, denunciando situazioni scomode. E averli in Europa è un vantaggio per tutti
Nei giorni scorsi il commissario tecnico degli Stati Uniti, Gregg Berhalter, ha reso note le convocazioni per le prossime due partite che la nazionale ‘stars and stripes’ disputerà nel mese di novembre. A un primo sguardo, sono due le particolarità a saltare all’occhio: la prima riguarda l’età media dell’intera rosa, che supera di poco i 21 anni, mentre la seconda si riferisce – seppure indirettamente – alla grande quantità di talento a disposizione di Berhalter.
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Infatti, una nutrita fetta di convocati gioca in Europa e, di questo gruppo, ben 9 quest’anno hanno avuto o avranno la possibilità di giocare la Champions League. Mai, nella storia, gli Stati Uniti hanno potuto contare su una bontà di talento smisurata come in questo preciso momento. Merito, in primis, del grande lavoro fatto a livello federale; nonostante gli strascichi polemici post gestione Klinsmann, gli States sono andati avanti nel perseguire i loro obiettivi di crescita sfruttando fattori come inclusione e integrazione.
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McKennie, simbolo dentro e fuori campo
Un modo di fare calcio differente, all’interno del quale – tra le tante – spicca la figura di Weston McKennie. Il centrocampista americano, ormai, abbiamo imparato a conoscerlo abbastanza bene; la Juventus lo ha acquistato negli ultimi giorni di mercato, prelevandolo dallo Schalke 04 e strappando un diritto di riscatto da esercitare nel 2021. Mc Kennie non ci ha messo molto a conquistarsi la fiducia di Andrea Pirlo: nonostante non sia (ancora?) un titolare di questa Juventus, le basi su cui lavorare sembrano buone.
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Talento, atletismo, dinamismo e una spiccata cultura del lavoro: l’esempio di Mc Kennie, che lo stesso Berhalter ha citato più volte nelle sue interviste – in una delle ultime, lo ha descritto come il prototipo perfetto di atleta, ‘candidandolo’ per un futuro nella NFL -, è propedeutico a una crescita generale che, concretamente, si traduce nel materiale che oggi il ct può avere a disposizione. Perché gli USA, contrariamente ad altri paesi, sportivamente sanno ottimizzare tutto l’ottimizzabile. Proprio McKennie è l’esempio perfetto di un modus operandi che sta sempre diventando più usuale.
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Di fatto, la particolarità risiede nel riconoscere con ampio anticipo il talento di ragazzi che, come nel caso del centrocampista della Juventus, con gli USA hanno avuto a che fare solo in un secondo momento. La parabola sportiva di McKennie nasce in Germania; papà John, sergente dell’esercito americano, ci ha fatto carriera, si è sposato e ha visto il figlio crescere con una palla ovale in mano. Mamma Tina, invece, lo avvicina al calcio, sport che Weston amerà a tal punto che, una volta rientrati in America, non lascerà più.
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La lotta al razzismo e alle intolleranze
Il resto è storia recente. A 19 anni McKennie saluta nuovamente gli States per fare rientro in Germania. Ad attenderlo c’è lo Schalke 04, che lo convince aggregandolo all’under 19 di Norbert Elgert, formatore di talenti tra i più importanti d’Europa. Essere cresciuto in ambienti così differenti tra loro ha portato il centrocampista bianconero allo sviluppo di una visione collettiva, sociale e critica più profonda.
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In occasione delle recenti vicende americane post uccisione di George Floyd, McKennie è stato uno dei primi a schierarsi contro le discriminazioni razziali perpetrate dal suo paese. Da una parte tanto lavoro – secondo Berhalter “Weston affronta gli allenamenti come un addestramento” -, dall’altra la consapevolezza che, col passare del tempo, la sua voce era diventata importante. E allora occorreva farla sentire, proprio sulla falsariga di tanti suoi colleghi, giovani e schierati come lui.
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Ci ha messo la faccia, McKennie, sposando la causa di Marcus Rashford, attaccante del Manchester United che, proprio durante questo particolare 2020, si è occupato di sensibilizzare l’opinione pubblica con campagne contro l’odio, il razzismo e l’intolleranza. Ma Weston, americano e quindi ‘figlio’ di un microcosmo davvero particolare in tal senso, ha deciso di fare di più, aderendo alla campagna Feeding America, nella quale ha coinvolto due colleghi e amici come Tyler Adams e Christian Pulisic.
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Una generazione di ‘nuovi’ americani
I nuovi USA, proprio nei giorni in cui Donald Trump potrebbe perdere la poltrona da presidente, hanno deciso di ripartire da programmi come quest’ultimo, che si occupa di portare da mangiare agli homeless e alle famiglie in difficoltà, e veicolando messaggi forti. Dal braccialetto per Goerge Floyd ai messaggi anti Trump, la nuova generazione di stelline americane si spende per il sociale, per un mondo nuovo e migliore. Magari un’utopia, che però va inseguita per dare un senso alla propria popolarità.
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McKennie non è il solo calciatore americano a essersi speso per cause sociali importanti. Nell’ultima lista di Berhalter sono presenti tantissimi di questi ragazzi. Dai già citati Adams e Pulisic passando per Sergino Dest, fiammante incorporazione del Barcellona la cui carriera si è sviluppata interamente in Europa. E, scorrendo questi nomi, si capisce come il melting pot sportivo dei nuovi Stati Uniti stia per dare vita a una generazione molto promettente. In campo, ma anche fuori. E averli in Europa è un vantaggio per tutti.
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