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Come il Marocco ha costruito la nazionale delle meraviglie

Calcio EsteroCome il Marocco ha costruito la nazionale delle meraviglie

Il Marocco è la grande rivelazione dei Mondiali 2022, prima africana della storia a raggiungere le semifinali. Ma come è stato costruito questo successo?

Ha eliminato Belgio, Spagna e Portogallo, scatenando feste in tutto il mondo. Un paese d’emigranti che diventa anche la prima africana a raggiungere le semifinali dei Mondiali, dove sfiderà la Francia in una sfida dal sapore storicamente e politicamente unico. Il Marocco è la grande sorpresa di Qatar 2022, e allo stesso tempo uno dei grandi misteri della competizione.

Anche perché la nazionale magrebina veniva da risultati molto deludenti, e solo lo scorso agosto aveva licenziato il ct bosniaco Vahid Halilhodzic, in carica dal 2019. C’erano tutti gli elementi per il disastro in Qatar, e invece le cose sono andate in maniera completamente differente.

L’arrivo di Regragui in panchina

Tutto o quasi passa da questo nome: Walid Regragui. 47enne allenatore francese di origine marocchina, Regragui è emerso come allenatore proprio nel paese africano, prima vincendo uno storico campionato con il FUS Rabat e poi conducendo, pochi mesi fa, il Wydad Casablanca alla conquista della CAF Champions League.

La scelta di portarlo in nazionale ad agosto ha subito avuto alcuni chiari effetti positivi. Innanzitutto all’interno dello spogliatoio, e poi anche a livello tecnico. Halilhodzic infatti aveva escluso Hakim Ziyech, probabilmente il miglior calciatore marocchino in attività, a causa di alcuni scontri che avevano avuto (la punta del Chelsea era poco incline a giocare le amichevoli, secondo quanto si diceva).

Ma la scelta di Regragui ha anche avuto un impatto simbolico molto importante, in un paese che ha sempre avuto tantissimi allenatori stranieri. L’attuale ct è solo il secondo marocchino della storia a guidare i Leoni dell’Atlante in un Mondiale su sei partecipazioni, dopo Abdellah Blinda nel 1994.

Ricostruire il Marocco

Regragui ha avuto un compito essenziale: ricostruire l’unità di una squadra che, sulla carta, aveva tutte le carte in regola per fare bene. In rosa vanta alcuni dei giocatori migliori d’Europa, come il già citato Ziyech, ma anche Achraf Hakimi e Noussair Mazraoui, e poi tanti altri giocatori di ottimo livello europeo: Bounou, Saiss, Aguerd, Amrabat, En-Nesyri, Boufal. Fino ad arrivare ad alcuni giovani di brillantissime speranze: Sabiri, Ezzalzouli e Ounahi su tutti.

Ma quello del Marocco è stato un progetto di lunga durata. Nel 2007, il re Mohamed VI decise di costruire una grande accademia sportiva a Salé, nel nord-ovest del paese: ideata sul modello di quella francese di Clairfointaine, è costata 12,6 milioni di euro ed è stata inaugurata due anni dopo. Inizialmente, la gestione dell’accademia è stata affidata a Nasser Larguet, stimato tecnico franco-marocchino che aveva lavorato al Le Havre, che poi è stato anche promosso a direttore tecnico della nazionale e ha anche direttore l’academy del Marsiglia. Dalla Mohammed VI Football Academy sono usciti ragazzi come Aguerd, En-Nesyri e Ounahi.

La struttura è considerata dalla stessa FIFA uno dei centri di sviluppo meglio organizzati al di fuori dell’Europa, e dimostra le ambizioni del Marocco. Nel 2004 il paese si era candidato per diventare la prima nazione afriana a ospitare i Mondiali, ma la Coppa del 2010 venne invece affidata al Sudafrica. Tutto ciò fa comunque parte di un lungo percorso di modernizzazione che il Marocco sta affrontando, non solo nello sport ma anche a livello economico e politico.

A ciò si aggiunge un progetto altrettanto radicato nella cultura del calcio marocchino che prevede di riportare in patria alcuni figli dell’immigrazione locale. Dei convocati per i Mondiali in Qatar, tredici sono giocatori nati e cresciuti in Europa, principalmente in Olanda, come Ziech e Mazraoui. Altri invece arrivano dalla Spagna, dall’Italia, dalla Francia, dal Belgio o dal Canada.

Da un insieme di giocatori a una squadra

Quello che Halilhodzic non era riuscito a fare è stato creare un amalgama nel Marocco, ra i giocatori locali, cresciuti nell’accademia, e gli europei di ritorno. È su questo compito che si è concentrato Regragui, lavorando sul gruppo sia a livello tattico che psicologico. Una delle mosse più significative, a detta di tutti, è stata la decisione di invitare le madri dei giocatori a seguire la squadra durante i Mondiali (che è il motivo per cui sui social si vedono spesso i marocchini festeggiare con le loro mamme).

Il ruolo delle madri del Marocco può sembrare marginale, ma invece si è rivelato cruciale nel rafforzare lo spirito di squadra, e ancor di più lo spirito di appartenenza nazionale, unendo le due anime della selezione, quella magrebina e quella europea.

A ciò si aggiunge infine il contesto particolare di questi Mondiali. Si dice spesso che il Marocco è come se giocasse in casa, e per certi versi non è sbagliato: circa 20.000 marocchini vivono in Qatar. E a essi si deve aggiungere la simpatia del pubblico locale, che come al solito è molto incline parteggiare per gli outsider, ancora di più quando con questi ha dei legami culturali come in questo caso, essendo anche il Marocco un paese arabo e musulmano come il Qatar.

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