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La finale di Champions League ha sfatato diversi miti sul calcio europeo

Calcio EsteroLa finale di Champions League ha sfatato diversi miti sul calcio europeo

Il Chelsea ha vinto la Champions League sfatando diversi fastidiosi miti e luoghi comuni sul calcio europeo

Il Chelsea si è laureato campione d’Europa per la terza volta nella propria storia. Ancora una volta, lo ha fatto da sfavorito. O, almeno, questo diceva il buon senso, spazzato via in campo da una prestazione maiuscola da parte della squadra allenata da Thomas Tuchel.

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Il tedesco, arrivato a stagione in corso dal PSG, ha saputo soverchiare i pronostici partita dopo partita, riuscendo a eliminare diverse squadre ben più quotate del Chelsea stesso. Poi, col City, è arrivato un capolavoro pazzesco per tattica, intensità, idee e consapevolezza. Un titolo meritato che, parallelamente, ha permesso di sfatare ancora una volta diversi miti fastidiosi sulla Champions League.

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Champions League e tattica

Per esempio, per anni si è andati ripetendo che in Europa, e in particolar modo in Champions League, non si potesse arrivare fino in fondo giocando con la difesa a tre. Spesso questo concetto veniva accostato ad Antonio Conte, preso come esempio dei fallimenti europei – non si sa bene per quale motivo – quando si parla di allenatori.

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Inutile dire che Tuchel, questo falso mito, lo ha sfatato alla grande, utilizzando la difesa a tre con diversi uomini ruotati al suo interno, partita dopo partita. La finale col City ha certificato come idee e identità facciano la differenza: per esempio, quando Thiago Silva ha lasciato il campo per infortunio, Christensen è entrato senza alcun problema. Cambiano gli uomini, non la sostanza: si può vincere anche con più variazioni tattiche di sistema.

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Dominio offensivo contro proattività

Un altro luogo comune fastidioso sulla Champions League riguarda il tema del calcio offensivo, quello propositivo, tratteggiato principalmente dal possesso e dal palleggio. Il Chelsea ha dimostrato che non sempre è così, anzi, la verticalità e la proattività dei Blues sono stati il pass decisivo per scombinare i piani di Guardiola.

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Il Chelsea, infatti, si porta a casa il trofeo con un gioco ragionato, sicuramente, ma anche organizzato, equilibrato e reattivo, con pochi tocchi del pallone e meno passaggi, sempre e comunque, rispetto all’avversario che di volta in volta si è trovato davanti. A testimonianza di ciò c’è anche il dato sul possesso palla dei Blues, quasi sempre inferiori ai vari avversari trovati nella seconda fase del torneo.

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Qualità e campioni

Infine, c’è anche una numerosa corrente di pensiero che sostiene come la Champions League venga vinta sempre dal più forte e, parallelamente, dalle squadre che possono permettersi più campioni in campo contemporaneamente. In quest’ultimo caso le percentuali di successo aumentano esponenzialmente, tuttavia non rappresentano una garanzia.

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A livello qualitativo, infatti, il Chelsea era inferiore sia all’Atletico che al Real Madrid, incontrate agli ottavi e in semifinale, mentre era più forte nei singoli rispetto al Porto, che è sì stato battuto ma mai in maniera netta. Questo dimostra che, per supplire a certe mancanze, può anche ‘bastare’ l’esaltazione di un collettivo importante. Come, appunto, quello del Chelsea, ora meritatamente campione d’Europa.

 

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