lunedì, Aprile 29, 2024

Chi ha vinto e chi ha perso sulla Superlega

Calcio EsteroChi ha vinto e chi ha perso sulla Superlega

Sospesa la Superlega, proviamo a tirare le somme di due giorni di battaglia e capire chi ha vinto e chi ha perso

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La tempesta è passata. Due giorni di battaglia e ora, dopo il “colpo di stato” (crediti: Roberto De Zerbi), si fanno i conti delle perdite e ci si siede al tavolo delle trattative di pace. Dopo un anno di coronavirus, traslare su qualche altro tema la metafora bellica può fare strano, quindi limitiamoci a termini più prettamente sportivi: dal dibattito sulla Superlega sono emersi vincitori e sconfitti.

Capire chi sono gli uni e chi gli altri potrebbe aiutare a capire cosa aspettarsi dal calcio dei prossimi anni.

Superlega, gli sconfitti

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Sarebbe facile dire “i 12 club ribelli”. In realtà, la questione è più complessa: i grandi dirigenti dei club ne escono sconfitti, non le società in sé. Sicuramente, il perdente più evidente è Ed Woodward, l’unica testa saltata finora, che ha annunciato le dimissioni da vicepresidente esecutivo del Manchester United. Woodward, uomo di fiducia del proprietario Glazer, è stato uno dei leader della rivolta della Superlega: ex-dirigente di JP Morgan, era stato lui a portare la banca americana nell’affare.

Subito dopo, ci sono i due grandi volti dei 12 scissionisti, Florentino Perez e Andrea Agnelli. Entrambi sono ancora in carica (anche se da ieri sera si rincorrono voci, poi smentite, di dimissioni da presidente della Juventus), ma hanno subito un danno d’immagine enorme, anche perché ci avevano letteralmente messo la faccia con diverse interviste sui media.

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Perez ha 74 anni e dovrebbe restare presidente del Real Madrid fino al 2025, ma la sua immagine di uomo più potente del calcio spagnolo, in opposizione al presidente della Liga Javier Tebas, è ormai abbastanza compromessa. Anche perché, per contro, i colleghi di Atletico Madrid e Barcellona sono usciti indenni dalla tempesta: Joan Laporta, per capirci, si è sempre detto contrario alla Superlega e ha scaricato le responsabilità sulle decisioni di Bartomeu.

Superlega, i vincitori

Sicuramente la UEFA. Nel giro di due giorni appena ha visto sgretolarsi la credibilità dei suoi principali oppositori, un po’ per gli errori loro e un po’ perché, al loro progetto, ha opposto prontamente una Champions rinnovata e con un maggior budget. Ceferin, con Infantino alle sue spalle, ha ricucito lo strappo senza perdere nulla (visto il tempismo con cui sono state annunciate le novità della Champions League, è probabile fossero cose già decise da tempo) e senza dover ricorrere a delle squalifiche che avrebbero danneggiato la stessa confederazione europea.

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Ma paradossalmente tra i vincitori ci sono anche i club, intesi in un senso più ampio. I massimi dirigenti di alcuni di essi ne sono usciti con le ossa rotte, ma alla fine ciò che volevano è stato comunque raggiunto: il motivo del contendere, almeno a livello ufficiale, erano i maggiori introiti dalla Champions League, e la riforma del 2024 li garantirà, anche se un po’ inferiori a quelli previsti dalla Superlega.

C’è anche chi ha vinto pur senza (apparentemente) giocare nello stesso campionato, vale a dire Boris Johnson. Il premier britannico solo un anno fa era additato come l’uomo del folle progetto dell’immunità di gregge contro il Covid e dell’imminente crisi economica post-Brexit; oggi, con la pandemia sotto controllo nel Regno Unito (dopo opportuna inversione di rotta), Johnson ha riportato un’altra vittoria in ambito sportivo. Tutti i leader politici sono intervenuti nel dibattito, ma nessuno in maniera dura come lui; e il fatto che siano state proprio le inglesi a fare crollare il progetto lo fa apparire come uno degli aghi della bilancia.

E i tifosi? E i valori del calcio?

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Spiace dirlo, ma non sono né vincitori né sconfitti, solo comparse in una guerra più grande di loro. Certo, i tifosi possono essere felici, in un certo senso: specialmente quelli inglesi, erano da tempo contrari al progetto della Superlega; hanno protestato, in maniera anche abbastanza eclatante, e le loro dimostrazioni (supportate anche da calciatori e allentori famosi) hanno avuto un peso in quello che è successo, sebbene meno determinante di quanto sembri.

Ciò detto, il calcio della UEFA e della nuova Champions League non è più a misura di tifoso di quello di prima, anzi è un piccolo passo verso la Superlega. I fan possono essere felici di aver sventato quella che consideravano una catastrofe, ma all’atto pratico il loro peso nel mondo del calcio è stato ulteriormente eroso (a meno che l’idea del 50+1, ventilata dal governo britannico su modello tedesco, non venga ufficializzata veramente in Premier League).

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Se per i tifosi si può parlare di vittoria di Pirro, i cosiddetti “valori del calcio” non sono nemmeno scesi in campo. Tirati per la giacchetta da una parte e dall’altra della barricata, sono stati solamente uno strumento dialettico delle due fazioni, per nascondere i loro reali interessi (cioè, quelli economici).

La prossima finale della Champions League si giocherà comunque a Istanbul, nella Turchia che qualche settimana fa ha lasciato la Convenzione internazionale contro la violenza sulle donne. I prossimi Europei avranno tra le sedi principali Baku, capitale del regime di Aliyev. I Mondiali del 2022 si giocheranno lo stesso in Qatar, nonostante le migliaia di morti e le proteste di tifosi e giocatori, che evidentemente in questo caso non contano nulla.

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E soprattuto, l’idea di un calcio economicamente più sostenibile, forse l’unica cosa davvero necessaria per “salvare il calcio” (crediti: Florentino Perez), non ha mai fatto parte del dibattito. Aumentare i guadagni non serve a nulla, se questa crescita viene accompagnata da un aumento della spesa dei club. Così, tra qualche anno ci ritroveremo nuovamente in questa situazione: una nuova Superlega più conveniente, un nuovo braccio di ferro, nuove minacce. Magari finirà diversamente e viceranno i ribelli, ma anche in quel caso non ci sarà alcun vero cambiamento.

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