Nonostante la beffa di San Siro la Spagna è tornata a brillare, tra presente e futuro: cosa c’è dietro alla ricostruzione marchiata Luis Enrique
La sconfitta in finale di Nations League brucia, ma il futuro in casa Spagna sembra più roseo che mai. Le Furie Rosse, per la prima volta, sembrano finalmente aver imboccato la strada giusta per tornare a essere quella macchina perfetta che, nel quadriennio 2008-2012, aveva letteralmente monopolizzato il mondo.
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Di tempo ne è passato tanto e ripetere quell’exploit – un Mondiale vinto in mezzo a due titoli europei – non sarà facile, eufemismo, ma attorno alla nazionale allenata da Luis Enrique aleggia finalmente un’aria differente, meno tossica e soprattutto costruttiva.
La ricostruzione di Luis Enrique
Luis Enrique sta facendo proprio questo: ricostruisce. Da quasi zero, viste le premesse, perché dopo decenni passati a rappresentare la nazionale spagnola dandole un nucleo storico, da un paio di anni Barcellona e Real Madrid sono diventati bacini marginali.
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Il che, ovviamente, è un problema, soprattutto in un paese dove le due grandi hanno rappresentato una sorta di sicurezza nella quale rifugiarsi, regalando al calcio mondiali campioni assoluti. Invece, di recente, di giocatori del Madrid non se ne vedono più e di catalani, invece, ne arrivano veramente pochi.
Infortuni, limiti di età raggiunti o semplicemente poca funzionalità sono i motivi alla base di certe decisioni prese da Lucho, criticato pesantemente per non aver dato un’anima alla squadra quando invece, dalle retrovie, lui stesso lavorava per gettare le fondamenta di una nuova Spagna.
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Che in Nations League, sconfitta immeritata in finale a parte, ha fatto vedere di potersela giocare alla pari con chiunque e, parallelamente, ha già messo da parte un buon bottino in vista della campagna mondiale di dicembre 2022.
Spagna, obiettivo Qatar 2022
Che squadra arriverà in Qatar? Difficile dirlo oggi, ma certamente sarà molto diversa da ciò a cui eravamo storicamente abituati. Oggi la Spagna è un insieme di calciatori provenienti dai paesi più disparati e la Liga, pur rimanendo un buon serbatoio, non è più l’unico campionato dal quale attingere.
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Luis Enrique ha fatto di necessità virtù, inventandosi anche un po’ di modifiche sfruttando il lavoro fatto da alcuni suoi colleghi a livello di club. Gente come Oyarzabal, Merino, Ferran Torres, Eric Garcia, Alonso e Laporte qualche anno fa sarebbero stati chiusi da veri mostri sacri, ma oggi non più.
Mix di talento ed esperienza
Inoltre, il ricambio generazionale ha previsto l’innesto e l’implemento di diversi giovani talenti pronti a dare un contributo nel presente, diventando pietre angolari nel prossimo futuro. Pensiamo per esempio a Gavi, classe 2004, il più giovane esordiente di sempre con la Spagna.
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O Pedri, che nel 2020 sbarcò al Barcellona tra i mugugni di una piazza scontenta per la gestione Bartomeu. Loro, assieme a Yeremi Pino, Pau Torres, Bryan Gil, Unai Simon, Rodri e al già citato Garcia sono solo alcune delle pedine sulle quali il commissario tecnico potrà costruire un progetto duraturo.
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Il tutto mixata con qualche senatore del calibro di Busquets, Azplicueta e Koke, in attesa di capire se nel giro rientreranno anche i lungodegenti Carvajal, Jordi Alba e Saul. Ma, contrariamente a poco tempo fa, non è più scontato. Perché la Spagna è forte già così: non avrà un’identità autarchica né lo zoccolo duro dei top team, ma ha cuore e qualità per tornare a stupire il mondo.
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