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Brasile 2006, quando essere i più forti non serve

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Il Brasile sembra aver smarrito da qualche anno lo smalto necessario per gli appuntamenti importanti. Ma non sempre ha vinto anche quando è stato il più forte: il Brasile 2006 ai Mondiali lo ha dimostrato.

Ormai da svariati anni la Nazionale carioca vive un momento decisamente non felice: poco impattante nelle competizioni internazionali e con un ricambio generazionale non all’altezza di quello precedente, la Seleção pare in grandissima difficoltà nell’affermarsi nuovamente come una delle rappresentative mondiali più dominanti.

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In particolare i pentacampeones non vincono un Campionato del Mondo dal 2002: un digiuno di diciotto anni reso anche più doloroso dopo il tracollo del Mondiale casalingo della scorsa estate. Eppure, rispetto a quello di oggi persino un Brasile “perdente” appare decisamente più idoneo e spettacolare, in pieno stile carioca. Un Brasile potenzialmente devastante che, però, raccolse poco e nulla.

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Brasile mondiali 2006 formazione
L’undici del Brasile: Dida, Adriano, Juan, Kaka, Lucio, Emerson; Ronaldo, Ronaldinho, Ze Roberto, Roberto Carlos e Emerson

Brasile 2006 Mondiali: l’undici in campo

Estate 2006: in Germania si gioca un Mondiale molto sentito dai tedeschi, che persero la Coppa nell’occasione precedente proprio contro i brasiliani. I campioni in carica avevano una nuova guida tecnica al posto di Felipe Scolari: si trattava di quel Carlos Alberto Parreira che già nel 1994, a spese dell’Italia, aveva vinto la Coppa del Mondo come C.T. carioca.

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Non tutti i membri della spedizione precedente furono integrati nel viaggio tedesco, ma la rosa del Brasile 2006 sprigionava classe da tutti i pori e per rendersene conto bastava leggere la formazione titolare di quella selezione, schierata con un 4-2-4 dal peso offensivo enorme. Iniziamo dal portiere, la Stella Cadente Nelson Dida che in quegli anni stava difendendo con successo i tre legni del San Siro rossonero.

La linea difensiva era composta da quattro campioni assoluti: sempre dal Milan proveniva Marcos Cafu, storico capitano brasiliano, coadiuvato al centro da Lucio e Juan, in forza a Bayern Monaco e Roma, e a sinistra da uno dei più grandi interpreti del ruolo mai esistiti, il madridista Roberto Carlos.

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I due centrocampisti centrali erano lo juventino (ancora per poco) Emerson e Ze Roberto, mentre i quattro attaccanti risultavano fantascienza pura: Kakà e Ronaldinho, fantasisti di Milan e Barcellona, guardavano le spalle al Fenomeno Ronaldo e all’Imperatore Adriano, altra scintillante meteora del nostro calcio. Persino la panchina di quel Brasile faceva rumore, accogliendo fior fiori di campioni quali Juninho, Luisao, Julio Cesar e Robinho. Una squadra all’apparenza imbattibile ma che al Mondiale 2006 si fermò ai Quarti di Finale.

Una squadra sbilanciata ma senza spettacolo

I brasiliani, pur vincendo il girone a punteggio pieno, non convinsero mai del tutto: i tifosi si aspettavano, dati i grandi nomi in ballo, un calcio spettacolo senza precedenti che, però, di fatto non arrivò mai. Nonostante le tre vittorie nel gruppo F, infatti, il Brasile soffrì molto più del dovuto almeno in due delle tre sfide, contro Croazia e Australia.

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L’attacco del Brasile 2006 funzionava, ma i problemi erano ben altri: la difesa, seppur decisamente forte ed esperta oltre che molto poco perforata dati i soli due gol subiti nella competizione, finiva spesso sotto attacco per via del poco equilibrio in campo: con soli due centrocampisti e tanti attaccanti tecnici ma con una scarsa dose di tatticismo difensivo la squadra risultò spaccata in due e al primo avversario “serio” che incrociò la sua strada, ovvero la Francia di Zidane, inevitabilmente tutti i limiti di quella compagine vennero a galla.

Il gol di Henry

Il gol di Henry mandò a casa con la coda tra le gambe quella Seleção, sulla carta una delle più forti di sempre e ovviamente superiore a quella attuale. Giocatori così difficilmente li ritroveremo insieme a difendere i colori del Brasile nei prossimi anni. Ma la minore qualità non può essere un alibi: spesso, come insegnò proprio l’Italia in quel Mondiale, a vincere non è il più forte ma il meglio organizzato e il più motivato. È solo questione di tempo prima che il Brasile torni a vincere il Mondiale. Non resta che aspettare, in attesa che alla mancanza di fenomeni possano magari ovviare la tattica e la testa, due qualità fondamentali per imporsi nel calcio moderno.

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