La storia dell’unione simbolica fra il Brasile e lo Shakhtar Donetsk, tutto è iniziato grazie a Lucescu
Inutile cercare paragoni o similitudini tra Rio de Janeiro e Donetsk. La capitale dell’allegria mondiale, bagnata dall’Oceano e in uno status di estate perenne, è praticamente agli antipodi di uno degli avamposti della cultura russa, oggi purtroppo invaso da una guerra meno mediatica ma sempre presente.
La colonia di brasiliani allo Shakhtar Donetsk, oggi trasferitosi armi (in tutti i sensi) e bagagli nella capitale Kiev, certifica l’unione simbolica tra Rio e il cuore dell’Ucraina. Un’unione fatta evidente dai 13 calciatori brasiliani attualmente presenti nella rosa dello Shakhtar, divenuto ormai da anni l’Eldorado dei giocatori del paese che più talenti esporta da sempre nell’ambito del pallone.
Un po’ come i cestisti nati e cresciuti negli Stati Uniti che privi del livello per sfondare in NBA decidono di emigrare in Europa per poter competere ai piani alti del basket del vecchio continente.
La samba dello Shakhtar
Uno dei primi a muovere originali passi di samba nella regione del Donbass fu l’ex Napoli Francelino Matuzalem, portato a Donetsk da Mircea Lucescu nell’estate del 2004. Il tecnico rumeno lo aveva adocchiato nel suo amato Brescia e decise di portarlo in Ucraina, dove avrebbe allenato per dodici anni consecutivi, in seguito a un’autentica passione per i calciatori brasiliani dopo una tournée realizzata in Sudamerica prima del mondiale di Messico 1970.
Per l’occasione l’allenatore rumeno decise d’imparare il portoghese e dopo tre decenni mise a frutto la sua esperienza convincendo Luis Gonçalves, talent scout del Porto, a prendere parte al suo ambizioso progetto allo Shakhtar. Uno Shakhtar che dal 1996 poteva contare sulla possente forza finanziaria di Rinat Achmetov, ricchissimo imprenditore locale che oggi vanta un patrimonio di oltre 6 miliardi di dollari.
Dopo Matuzalem la connessione diretta tra il Brasile e l’Ucraina aumentò a dismisura e i vari Elano, Alex Texeira e Fernandinho, poi finito al Manchester City, sono solo alcuni dei nomi altisonanti passati per il Donbass per rendere lo Shakhtar la formazione più importante del calcio moderno in Ucraina, come confermano i 13 titoli nazionali da inizio millennio. La creazione di una seconda realtà calcistica che sta offuscando sempre di più la gloria storica della Dinamo Kiev è oggi una realtà, e le frequenti presenze in Champions League ne sono la conferma continentale.
De Zerbi dopo Lucescu
Da Brescia a Donetsk. Il cammino tracciato da Lucescu 17 anni fa è stato percorso da un bresciano DOC come Roberto De Zerbi, attualmente tecnico degli ucraini che hanno scommesso su di lui dopo gli ottimi anni al Sassuolo. Vincitore della Supercoppa di Ucraina pochi giorni fa proprio sulla Dinamo allenata dal guru rumeno, l’allenatore lombardo è chiamato adesso a fare un passo in avanti in Champions League.
La sconfitta della prima giornata contro lo Sheriff Tiraspol, debuttante per niente allo sbaraglio, ha scombussolato i piani di De Zerbi, che adesso contro l’Inter dovrà dimostrare di poter imbrigliare tatticamente Simone Inzaghi, battuto nell’ultimo confronto diretto del maggio scorso quando il suo Sassuolo aveva sconfitto per 2-0 la Lazio all’Olimpico. E chissà che il passo decisivo per De Zerbi non lo faccia uno dei suoi tanti brasiliani, una colonia chiamata a sbattere in faccia agli europei una tecnica privilegiata, come succede con i nordamericani con il basket.