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Rummenigge e il salary cap per salvare il calcio

OpinioniRummenigge e il salary cap per salvare il calcio

Il salary cap torna al centro del dibattito dopo le parole di Rummenigge: un’idea che gira da tempo e che sta prendendo sempre più piede vista l’attuale situazione dei club

“Un calcio più razionale”, così ha detto Karl-Heinz Rummenigge, ad del Bayern Monaco, in una recente intervista al Corriere della Sera. Un tema di cui si parla da tempo nel calcio, e che è divenuto attualissimo a causa della pandemia e delle sue dirette conseguenze sui bilanci dei club.

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“Il problema è di lunga data ed è cominciato con la sentenza Bosman del 1996. Poi negli ultimi dieci anni abbiamo sbagliato tutti, perché abbiamo speso sempre di più a favore di giocatori e agenti” aggiunge Kalle, che già aveva chiesto azioni in questo senso lo scorso maggio alla UEFA, in accordo con il presidente della Bundesliga Fritz Keller.

Le parole di Rummenigge

Non stupisce che questa idea parta con maggiore forza dalla Germania, un sistema improntato alla sostenibilità e a un rapporto molto più stretto tra società e tifosi. L’idea del salary cap rilanciata da Rummenigge è un vecchio pallino del mondo del calcio, dopo che la sopracitata sentenza Bosman ha stravolto il sistema economico del settore.

Dal 1996 in avanti, il potere contrattuale dei giocatori è aumentato enormemente, i procuratori sono divenute figure dominanti del mondo del calcio, e sono emersi gli intermediari del calciomercato. Tutte cose che hanno fatto aumentare i costi da parte dei club, ma che sarebbero influenzate relativamente da un eventuale salary cap, che riguarderebbe appunto il monte ingaggi di ogni società.

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Non va sottovalutato che l’attuale situazione è sì stata resa possibile dalla sentenza Bosman, ma è stata anche alimentata dagli stessi club, che in questi anni hanno accettato di riconoscere commissioni sempre più ricche ai procuratori e di rivolgersi sempre più spesso a terze parti per portare avanti le trattative. Nessuno li ha costretti.

La crescita esponenziale del business del calcio, andata di pari passo con l’ascesa dei diritti tv, la nascita della Premier League e della Champions League, hanno reso possibile il calcio moderno tanto quanto (se non di più) del caso Bosman. È forse a questo che si riferisce Rummenigge quando dice “abbiamo sbagliato tutti“.

Le conseguenze del calary cap

Del salary cap aveva parlato già a novembre l’ad dell’Inter Alessandro Antonello, certificando come ormai l’argomento sembri essere divenuto la cura prediletta per i mali dei club. Un primo passo in questo senso è già stato fatto con il Fair Play Finanziario della UEFA, che però ha spesso dimostrato i suoi limiti, come abbiamo visto nel caso del Manchester City. E d’altronde un salary cap esiste già dal 2013 nella Liga spagnola, e non ha impedito al Barcellona di offrire un contratto assurdo a Messi e di ritrovarsi, oggi, in una situazione economica catastrofica.

Si può obiettare che il Tope Salarial della Liga non sia un salary cap “puro”, ma come potrebbe esserlo? Non solo il calcio, ma l’intera nostra società si basa su un’idea di capitalismo e libero mercato che non coincide in nessun modo con quella di un tetto massimo d’ingaggi. Significherebbe riconoscere l’impossibilità del mercato di auto-regolarsi, e la necessità di vincoli alla spesa privata imposti dall’alto. Non a caso, un esempio di salary cap “puro” è quello recente della Chinese Super League, in un paese in cui lo Stato ha un forte controllo sull’economia.

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Un altro esempio di tetto salariale è stato applicato nel 2013/2014 nella nostra Serie B. Risultato? Nelle successive stagioni sono stati comminati 72 punti di penalizzazioni per irregolarità finanziarie, e ben nove società transitate dalla categoria hanno poi dichiarato fallimento.

La necessità di ritrovare un calcio più sostenibile è sicuramente lodevole, ma non è detto che il salary cap sia la soluzione più corretta. Anche perché, mentre si discute di pagare meno i giocatori, a breve verrà lanciata una terza competizione europea che aumenterà il numero di partite, esponendo i giocatori a un maggiore rischio di infortuni e spingendo le società ad ingrandire le rose. Prima di tutto, allora, il calcio dovrebbe risolvere queste sue contraddizioni.

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