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Da quando i vecchi campioni vanno a ritirarsi nei paesi arabi?

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Cristiano Ronaldo e non solo lui: da tempo i vecchi campioni del calcio vanno a concludere la carriera nei paesi arabi. Com’è nata questa storia?

Il trasferimento di Cristiano Ronaldo all’Al Nassr è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia, quella che vede alcuni grandi campioni del calcio, ormai in là con l’età, rifugiarsi in campionati di secondo (ma anche terzo o quarto) piano per chiudere comodamente la carriera con contratti da capogiro. Negli ultimi anni sono stati i paesi arabi affacciati sul Golfo Persico a imporsi come meta favorita di questa migrazione, anche se in passato andavano più di moda altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti. Ma com’è nata questa moda? Proviamo a fare una breve storia del fenomeno.

Da Pelé a Ronaldo: storia dei vecchi calciatori nei paesi arabi

Il primo esempio che viene in mente alla maggiore parte dei tifosi è ovviamente la NASL degli anni Settanta, il campionato di calcio americano che improvvisamente iniziò ad attrarre grandi investitori locali, che volevano lanciare il calcio in Nord America. Pelé, recentemente scomparso, fu proprio il simbolo di quel fenomeno, quando nel 1975 lasciò 34enne il Santos per firmare un triennale con il New York Cosmos. In breve, negli Stati Uniti approdarono campioni come Franz Beckenbauer, Johan Cruijff, Giorgio Chinaglia e molti altri, tutti lautamente pagati per venire a giocare nella NASL.

Il campionato nordamericano ebbe vita breve, e nel giro di pochi anni si ridimensionò a causa degli enormi debiti; molti club fallirono, e alla fine nel 1984 la lega dichiarò bancarotta. All’inizio del decennio successivo, fu il Giappone a cercare di rilevarne il ruolo di meta dei pensionati illustri del calcio: anche nel paese del Sol Levante si voleva lanciare il gioco del pallone e il nuovo campionato professionistico locale, la J-League, ingaggiando giocatori sopratutto dal Brasile. Il più famoso fu Zico, che nel 1991 si trasferì al Sumitomo Metals (odierno Kashima Antlers), ma nel corso degli anni Novanta si videro anche Careca e Dunga, anche se il fenomeno non si ripeté nella portata degli Stati Uniti negli anni Settanta.

Poi arrivarono i paesi arabi, ovviamente. In principio fu il Qatar, che nel 2003 decise di investire grandi somme per potenziare il campionato locale, già guardando al 2010, quando sarebbe stato assegnato il Mondiale del 2022, che interessava molto a Doha. Il campionato qatariota emerse con forza con l’acquisto clamoroso di Gabriel Omar Batistuta, subito seguito da giocatori come Frank e Ronald de Boer, Romario, Marcel Desailly e Pep Guardiola. Gradualmente anche in Qatar l’investimento nelle vecchie stelle del calcio europeo si è ridotto, anche se ancora nel 2015 Xavi passò dal Barcellona all’Al Sadd.

Alla fine degli anni Duemila, la MLS statunitense ha cercato di rimettersi sulla scia della NASL (stando più attenta alla sostenibilità dei bilanci) aprendo l’epoca dei grandi investimenti statunitensi nel calcio, che successivamente si sono trasformati nell’acquisizione diretta di club europei. A partire dal 2007, quando il Los Angeles Galaxy acquistò David Beckham, i grandi vecchi del calcio hanno iniziato a guardare di nuovo agli Stati Uniti come campionato in cui chiudere la carriera: è la strada scelta da giocatori come Thierry Henry e Andrea Pirlo, per esempio.

Prima di Ronaldo, l’Arabia Saudita era sempre stata, dunque, un po’ marginale in questo discorso, dietro pure al campionato degli Emirati Arabi Uniti. Oggi, con l’acquisto del 37enne asso portoghese, Riad sembra voler almeno in parte invertire la tendenza, anche se da un po’ di tempo il campionato locale attrae comunque giocatori di buon livello europei, come è stato ad esempio Sebastian Giovinco. E dire che proprio dall’Arabia Saudita, in verità, partì questa moda di portare le stelle del calcio in declino nel Golfo Persico: nel 1978, fu l’allora 32enne asso brasiliano Rivelino, campione del mondo del 1970, il primo grande campione del calcio mondiale a trasferirsi a Riad, firmando con l’Al Hilal.

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