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Perché è scoppiata la maxi-rissa da 26 feriti in Messico

Calcio EsteroPerché è scoppiata la maxi-rissa da 26 feriti in Messico

Sabato in Messico una maxi-rissa allo stadio ha causato un alto numero di feriti, scatendo molte polemiche che hanno portato allo stop del campionato.

Dopo solo 9 giornate dal via, si è già fermato il campionato messicano, dopo che sabato 5 marzo, allo stadio La Corregidora di Querétaro, una maxi-rissa ha portato all’interruzione della sfida tra Queretaro e Atlas dopo un’ora di gioco, lasciando sul campo 26 feriti, di cui 3 in gravi condizioni.

Gli scontri, iniziati improvvisamente sugli spalti, sono poi degenerati al campo da gioco, costringendo le due squadre ad abbandonare il terreno e rifugiarsi negli spogliatoi. Quello che molti hanno fatto notare, è stata la totale assenza di reazione da parte della sicurezza presente, che avrebbe lasciato gli ultras violenti liberi di agire.

Gli eventi di Queretaro hanno sconvolto il Messico, e il governatore della regione Mauricio Kuri ha annunciato l’apertura di un’indagine ufficiale per appurare le responsabilità. Purtroppo, gli eventi violenti non sono una novità nel paese, che soffre di grossi problemi di instabilità e insicurezza, ma raramente questi hanno avuto il calcio come epicentro. Quindi viene logico domandarsi cosa sia successo, questa volta, alla Corregidora.

Com’è nata la maxi-rissa in Messico

Le immagini arrivate da Queretaro mostrano una situazione abbastanza chiara: i tifosi della squadra di casa, in maglia bianca e blu, hanno iniziato una sorta di caccia all’uomo contro i tifosi dell’Atlas, la squadra che detiene il titolo messicano, e che al momento dell’interruzione del match stava vincendo 1-0. Alcuni di questi ultimi, per salvarsi dalle aggressioni avversarie, si sono addirittura spogliati della maglietta della propria squadra per non essere riconoscibili.

Lo scrittore Pablo Duarte, tifoso del Queretaro, ha spiegato al Guardian che tra le due tifoserie esiste una poco nota rivalità, che risalirebbe al 2007, quando l’Atlas condannò i Gallos alla retrocessione. Tre anni dopo, le due squadre tornarono ad affrontarsi, e allora per la prima volta si verificarono degli scontri tra le tifoserie – la Resistencia Albiazul del Queretaro e la Barra 51 dell’Atlas – che causarono una trentina di feriti.

Negli anni successivi, i biancoclu crebbero molto come squadra, dopo anni di anonimato: nel 2014 venne acquistato Ronaldinho, che condusse il club al secondo posto del campionato; ma anche dopo il suo addio, nella stagione successiva, il Queretaro riuscì a spingersi fino alle semifinali della CONCACAF Champions League. Di pari passo, l’aggressività dei fan andò crescendo, con nuovi scontri negli anni successivi.

Quindi, i motivi per ritenere la sfida di sabato in Messico a forte rischio c’erano tutti, eppure la sicurezza nello stadio era pesantemente sotto organico. Adolfo Rios, general manager del Queretaro, ha detto che, in realtà, il dispiegamento di forze organizzato dal club era in linea con le regole, che vogliono un agente di sicurezza ogni 25 spettatori (con 14.000 persone presenti, c’erano quindi 600 agenti). Il presidente del club di casa, Gabriel Solares, ha ribadito che il problema non è stato il numero di agenti, ma la loro disposizione e il modo in cui hanno agito.

Un aspetto che sembra essere confermato da diverse immagini, che mostrano alcuni membri del personale di sicurezza disinteressarsi del tutto agli scontri, se non addirittura aprire le porte ai tifosi del Queretaro per permettere loro di invadere i settori ospiti. Tuttavia, i sospetti che il numero del personale fosse insufficiente non sono del tutto fugati: allo stadio Azteca di Città del Messico, quando si verifica uno dei derby più caldi del paese – quello tra Pumas e America – la ratio è di un addetto alla sicurezza ogni 14 tifosi, rinforzando quanto stabilito dalle leggi.

Questa situazione, per il Messico, rappresenta un evidente problema a livello d’immagine nei confronti della FIFA, visto che nel 2026 il paese è stato scelto per ospitare i Mondiali assieme a Canada e Stati Uniti.

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