Antonio Nusa è apparso a tratti devastante nella gara contro l’Italia: perché in azzurro non c’è un talento come il nigeriano capace di spaccare le partite? Andiamo a capirne i motivi
L’Italia si ritrova ancora una volta ai playoff Mondiali. È la terza consecutiva: nel 2017 la Svezia chiuse le porte a Russia 2018, nel 2021 la Macedonia del Nord fece svanire il sogno Qatar 2022. Ora, dopo il secondo posto già aritmetico nel girone, è arrivata anche la pesante sconfitta per 4-1 contro la Norvegia nell’ultima gara.
Un risultato che ha evidenziato ancora una volta una questione tecnica e strutturale: la distanza crescente tra il calcio italiano e le nazionali europee più moderne, costruite su velocità, dribbling, potenza e accelerazione. Il caso Nusa è emblematico: un classe 2005 capace di cambiare ritmo, saltare l’uomo e incidere con fisicità. Un profilo che l’Italia oggi non ha e che manca da anni.
Un problema di talento: dribbling e accelerazione che in Italia scarseggiano
La prestazione di Antonio Nusa contro l’Italia ha riaperto un tema evidente: nel nostro sistema calcistico mancano giocatori con dribbling naturale, capacità di accelerare in pochi metri e tecnica in velocità. Non è solo una questione di qualità individuale, ma di formazione.
L’estero continua a produrre calciatori che uniscono coordinazione, potenza e tecnica di altissimo livello. I casi di Nico Williams, Raphinha, Lamine Yamal, Barcola e Désiré Doué mostrano un modello in cui il talento offensivo nasce già con un bagaglio fisico strutturato.
In Italia, invece, emergono meno esterni capaci di strappare e spaccare le partite. Il talento c’è, ma manca quella dimensione atletica che oggi fa la differenza ai massimi livelli: l’accelerazione sul primo passo, la resistenza ai contrasti, la continuità sul lungo periodo.
La componente fisica: all’estero un altro livello, in Italia un ritardo evidente
Il tema non riguarda solo la tecnica, ma soprattutto la preparazione fisica dei giovani. Nei principali settori esteri, il lavoro su esplosività, forza elastica e rapidità viene integrato sin dai 13-14 anni. Questo porta a formare calciatori che arrivano a 18 anni già pronti a competere con adulti, senza perdere naturalezza tecnica.
Musa, Nico Williams, Raphinha, Yamal, Barcola e Doué sono esempi di atleti completi, difficili da spostare fisicamente e capaci di sostenere ritmi molto alti. L’Italia sviluppa bene la tattica, il palleggio e la lettura del gioco, ma fatica ad allinearsi ai parametri fisici delle grandi nazioni. Il risultato è evidente nei confronti diretti: quando l’intensità sale, la differenza si nota.
Gattuso, nell’ultima tornata di convocazioni, per la corsia destra ha chiamato Politano ed Orsolini, al momento il meglio che il calcio italiano può offrire. Due calciatori simili per certi versi, mancini che giocano sulla fascia destra a piede invertito. Ma avete notato la differenza di struttura fisica con Nusa?
I due azzurri sono “leggerini”: brevilinei, agili e scattanti, anche dotati tecnicamente ma non appieno in grado di reggere un contrasto oppure di giocarsela ad armi pari dal punto di vista fisico con i dirimpettai.
Chiesa e il rimpianto dell’ultimo talento esplosivo
Federico Chiesa rappresenta l’ultimo grande talento italiano capace di strappare, saltare l’uomo e incidere in campo aperto. La rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro nel gennaio 2022 ha però cambiato la sua carriera. Dopo il lungo stop di circa dieci mesi, il rientro è stato graduale e segnato da altri problemi fisici che ne hanno limitato continuità e brillantezza.
E ad oggi, trasferitosi in Premier League nell’estate del 2024, fatica ancora a ritagliarsi il suo spazio e vive un ruolo da comprimario al Liverpool. L’Italia ha perso così l’unico profilo in grado di competere fisicamente con gli esterni d’élite europei. Oggi, senza un giocatore con quelle caratteristiche, il divario appare ancora più evidente, soprattutto quando il ritmo si alza e servono forza, progressione e velocità.
Italia, come recuperare il gap con gli altri Paesi?
Qual è, quindi, la soluzione? L’Italia, al momento, è decisamente arretrata rispetto agli altri Paesi europei e mondiali. Recuperare il terreno perso non è affatto semplice ma è necessario provarci. In primis bisogna riorganizzare il lavoro delle Academy, delle scuole calcio se necessario.
Una formazione tecnica a livello federale che deve partire fin dagli istruttori dei più piccoli, instradando i bambini ad una formazione completa che possa portare, poi, ai risultati che vediamo oggi negli altri Paesi. Una riforma strutturale che impone anche e soprattutto velocità d’intenti.



