L’Italia non è consapevole di avere un problema, e questo è il problema più grave in assoluto. Accettare che la Norvegia sia più forte, è il primo passo per ripartire da zero, per ricostruire. Invece, ancora oggi ci si nasconde dietro inutili (e soprattutto false) scuse e giustificazioni, che non stanno né in cielo e né in terra. E questo vortice, tipicamente italiano, ha coinvolto anche uno come Rino Gattuso che, da calciatore e anche da allenatore, non si è mai tirato indietro né nascosto dietro un dito. Stavolta invece l’ha fatto, adeguandosi alla comunicazione intera della FIGC. Che, nella figura di Gabriele Gravina, in carica dal 2018, pensa di poter risolvere la situazione cambiando allenatori e calciatori ma senza mai pensare ad una rifondazione dell’intero sistema.
Un sistema, quello italiano, che non è stato in grado di adattarsi al cambiamento iniziato più di dieci anni fa e che continua a cambiare. L’Italia invece è ferma, in attesa che il caso sforni un talento che possa cambiare le cose, ma purtroppo non funziona così. Il talento va accompagnato, instradato, coltivato. E l’Italia non sa farlo, né nei formatori della Federazione e né quelli delle singole società.
Facciamo l’esempio di Antonio Nusa che abbiamo affrontato proprio domenica sera. Se fosse nato in Italia, avrebbe potuto esprimere e sviluppare davvero le sue caratteristiche? Molto probabilmente sarebbe stato trasformato in un esterno a tutta fascia in un 3-5-2 o, peggio ancora, in una seconda punta, come ad esempio è capitato a Federico Chiesa nei suoi ultimi anni in Italia con Allegri prima di andare al Liverpool. E soprattutto un Nusa italiano avrebbe visto il campo con continuità solo a 24-25 anni dopo un lungo periodo fra prestiti o panchina.
Ma il problema più grave è un altro: l’Italia probabilmente a marzo riuscirà a qualificarsi al Mondiale e saremo tutti a festeggiare, in primis Gravina pronto a gridare al miracolo sportivo e a celebrare l’obiettivo raggiunto. E quindi perché cambiare?



