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Perché Guardiola non riesce più a vincere la Champions League?

Champions LeaguePerché Guardiola non riesce più a vincere la Champions League?

Guardiola è ritenuto uno dei più grandi allenatori del mondo, ma da anni fallisce la vittoria della Champions League, che ha vinto solamente col Barcellona.

Con l’eliminazione di ieri sera in semifinale, sono undici anni che Pep Gurdiola non vince la Champions League: da quando ha lasciato il Barcellona, ha raggiunto la finale della massima competizione europea per club una sola volta. Il Telegraph, non senza enfasi, ha detto che la notte del ritorno del Bernabeu lo “perseguiterà per il resto dei suoi giorni”.

È una storia che conosciamo già, ma ogni anno si ripete: se Guardiola non vincela Champions League, iniziano a rincorrersi voci di chi parla di fallimento, di chi immagina un esonero dalla panchina del Manchester City, o di chi addirittura lo considera un allenatore sopravvalutato (sebbene nella storia appena tre persone abbiano vinto più Champions di lui).

A questo punto viene legittimo domandarselo: perché l’allenatore catalano, nonostante abbia sempre allenato squadre di grande blasone e vaste possibilità economiche, non è più riuscito a vincere la più importante competizione UEFA?

Guardiola e la Champions: cosa succede?

Difficile dare una risposta precisa a questa domanda. In questi anni, i flop europei delle squadre di Pep sono stati dovuti a motivazioni diverse, dalle disattenzioni alle scelte azzardate (come quella di Eric Garcia contro il Lione nel quarto di finale del 2020) fino alla semplice sfortunata necessità (che ha portato, ad esempio, il 37enne Fernandinho a giocare fuori ruolo nell’andata contro il Real, dovendosela vedere con Vinicius).

Lasciando perdere le spiegazioni mistiche, come quella della maledizione degli sciamani africani per il fatto di aver lasciato spesso in panchina Yaya Touré durante l’ultima stagione dell’ivoriano al City, è chiaro che qualcosa è successo al tecnico ex-Barcellona. La sua squadra, così continua e spettacolare durante tutto il corso della stagione, si squaglia spesso nel momento finale del torneo più atteso.

Mercoledì sera, nel post-partita di Amazon Prime, Patrice Evra ha accusato direttamente la scelta dei giocatori dell’allenatore: “Il City ha bisogno di leader, ma Guardiola non vuole leader. Non vuole personalità. È lui il leader. Per questo quando sono in difficoltà non hanno qualcuno in campo che li aiuti. Lui sceglie le sue squadre così, non può allenare persone con personalità”.

Questa critica ricorda spesso quella che viene rivolta all’allenatore catalano riguardo la sua dipendenza da Messi, che era il vero valore aggiunto del suo Barcellona. Sia il Bayern Monaco che il Manchester City sono rimasti senza un attaccante con quella capacità di svoltare le partite, sobbarcandosi le responsabilità nei momenti difficili. Pensando al City, a lungo si è andati alla ricerca del fenomeno capace di spiccare sopra il resto della rosa, senza però mai trovarlo: quel trono è stato occupato, secondo la stampa sportiva, alternativamente dagente come Aguero, Sané, Sterling, Bernardo Silva, De Bruyne e, adesso, Mahrez. Ma è sempre mancato un vero fuoriclasse che incarnasse le potenzialità della squadra.

Questo è ciò che ha sostenuto, ad esempio, Ruud Gullit in un intervento del 2019 a beIN Sports. Ma d’altro canto è anche vero che, senza l’argentino, Guardiola ha comunque vinto 17 trofei in otto stagioni, che ne fanno uno dei tecnici più titolati al mondo. C’è chi sostiene semplicemente si tratti di sfortuna (spiegazione che fa il paio con quella della maledizione di cui sopra), mentre altri pensino che il tecnico del City abbia la tendenza a compiere scelte cervellotiche e controproducenti nei momenti decisivi.

Un esempio è la già citata scelta del giovanissimo Eric Garcia nel 2020 contro il Lione: inserì un giocatore molto inesperto e con grosse lacune difensive ma spiccato talento nell’impostazione del gioco nella speranza di aggiunere potenzialità all’attacco, sapendo di giocare contro una squadra che eccelleva in copertura. Guardiola “pensa troppo” (il termine inglese, overthinks, rende meglio l’idea) quando ci sono le partite di Champions League: è quello che diceva qualche anno fa Thomas Muller, che è stato suo giocatore al Bayern, e che recentemente è stato trattato anche su The Athletic.

Guardando il suo curriculum, però, sembra emergere anche un altro aspetto dei “limiti” del catalano: fallisce molto più spesso le competizioni a eliminazione diretta che i campionati. Nei tornei più lunghi e meno severi nel condannare gli errori, Guardiola ha una regolarità impressionante: in carriera ha vinto nove campionati su dodici, con una percentuale di successo del 75%. Ma se guardiamo le coppe, nazionali e internazionali, il discorso cambia e il dato scende a meno del 38%, con undici successi su ventinove competizioni (escludendo l’anno in corso). Per dire, ha vinto una sola volta la FA Cup, o due volte su tre partecipazioni la Coppa di Germania (mentre in quelle stesse tre stagioni conquistò sempre la Bundesliga con minimo 10 punti di vantaggio).

Niente di tutto questo da solo basta, ovviamente, a spiegare perché Pep Guardiola non sia più riuscito a vincere la Champions League lontano da Barcellona, ma ognuno di questi elementi può essere una tessera di un ampio mosaico.

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