Da anni i club italiani invocavano strumenti più solidi per tutelarsi dalle interruzioni anticipate dei rapporti con i calciatori. La difficoltà di trattenere a lungo i propri talenti, specie in presenza di offerte estere o di norme favorevoli ai giocatori, ha creato spesso squilibri contrattuali e gestionali. A pesare sono state soprattutto le disposizioni FIFA sul recesso unilaterale e i precedenti giuridici come il caso Diarra, che hanno aperto a vie di uscita anticipate con indennizzi spesso inferiori al valore reale dei calciatori.
Con il Decreto Sport approvato dal Consiglio dei Ministri è stata introdotta una modifica storica per il sistema calcistico italiano: le società potranno ora stipulare contratti professionistici fino a un massimo di otto anni. Una possibilità che, se accettata dai calciatori, consentirà di blindare il patrimonio sportivo e ridurre i rischi di addii prematuri. In base alle norme FIFA, i giocatori possono recedere dopo due o tre stagioni a seconda dell’età, ma con contratti così lunghi le società avranno modo di negoziare clausole di indennizzo più elevate o condizioni più favorevoli, seguendo un modello già utilizzato in Spagna. La FIFA stessa sta valutando da tempo correttivi per limitare gli effetti di queste rescissioni.
Dal punto di vista economico-contabile però il provvedimento non modifica i vincoli imposti dalla UEFA sul fair play finanziario. L’organismo europeo ha chiarito che «l’ammortamento del cartellino del giocatore sarà limitato a cinque anni al fine di garantire la parità di trattamento di tutti i club». Anche in caso di contratti più lunghi o rinnovi pluriennali, l’ammortamento potrà estendersi al massimo per cinque stagioni dalla data di proroga. Resta invece aperta la possibilità di utilizzare la durata extralarge dei contratti nei bilanci civilistici e fiscali, senza effetti diretti sull’ordinamento sportivo.