Cinque cose inutili della Coppa Italia

Con gli ottavi di finale in dirittura d’arrivo, ogni anno siamo qui a sperare che la Coppa Italia in qualche modo cambi di formato. Così com’è, infatti, è una competizione abbastanza insulsa. 

Ci sono almeno cinque motivi, cinque cose che rendono la Coppa Italia, una volta quasi un obiettivo principale per alcune squadre, un torneo sempre meno attraente. Andiamo a snocciolarli.

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Giocare a gennaio in settimana

Perché la FA Cup, la Copa del Rey o la Coupe de France si concedono il lusso al 99% di disputare le loro partite nel weekend e l’Italia no? Che affluenza di pubblico può avere, al netto delle limitazioni sanitarie sulla sicurezza negli stadi, un Verona-Empoli a metà settimana di primo pomeriggio?

Con tutto il rispetto per le due squadre, che anzi nel turno precedente avevano dato vita a uno spettacolare 4-3 per i toscani, che agli ottavi beccheranno l’Inter. Lo stesso Andreazzoli, tecnico dell’Empoli, aveva peraltro commentato che questo format non lo entusiasmava.

Sul carro del vincitore

La regola più difficile da capire nella Coppa Italia è perché si debba giocare in gara secca in casa della squadra più forte nella classifica dell’anno precedente. Questo toglie tre quarti della suspense riguardo alla qualificazione, dove c’è già un chiarissimo favorito, e quindi l’attenzione cala.

Certo, ci sono stati dei casi di partite di Coppa Italia finite nonostante tutto ai supplementari o addirittura ai rigori, con vittorie delle squadre in trasferta, ma poi? Di nuovo, nel freddo di gennaio, con le giornate più corte rispetto alla primavera, il festeggiamento non può che durare poco o nulla.

All’estero naturalmente non è così, ma ci siamo anche stancati di dirlo.

Le riserve delle riserve

Per quasi tutte le squadre la Coppa Italia è talmente un peso che, se possibile, non la giocherebbero.

C’è chi si deve salvare, chi è a caccia di un posto in Champions League, chi è in lotta per lo scudetto. Insomma, levando 5-6 squadre della zona media della classifica, che però non arrivano mai in fondo, fino alle semifinali della Coppa Italia non interessa nulla a nessuno.

Lì, quando nel frattempo altri obiettivi sono saltati, ci si ricorda che c’è anche quel trofeo, che in fondo può portarti fino alla Supercoppa Italiana o, se ti è andato tutto male, in Europa. Anzi, in Conference League.

Sta di fatto che i titolari veri in Coppa Italia non giocano praticamente mai, e del resto basta vedere chi ha vinto la classifica marcatori negli ultimi anni, salvo rarissime eccezioni.

Il tabellone

Ad agosto si sa già tutto, chi incontrerà chi, quando-come-e perché. Derby probabile ai quarti, magari in semifinale, e così via.

Nelle altre coppe nazionali, invece, anche il sorteggio, che si fa turno per turno, è un momento che molte squadre attendono con fibrillazione.

Specie quelle di rango inferiore, che magari sperano o di incontrare una big in casa, e quindi di riempire lo stadio, oppure una rivale dello stesso livello, per sperare di andare avanti.

La Conference League

Se c’è, però, una cosa più triste della Coppa Italia, o comunque poco entusiasmante, è la competizione europea che spetterebbe a chi vince questo torneo, e cioè l’Europa League, che è un altro di quei tornei che gli allenatori e i giocatori vorrebbero evitare, soprattutto per via delle lunghissime trasferte alla periferia del Continente.

Il fatto è che siccome vincono quasi sempre le stesse, o comunque arrivano in fondo le squadre che sono già tra le prime quattro del campionato e che quindi vanno in Champions, succede che si vada a ripescare a questo punto le seste e le settime classificate della Serie A.

Creando quindi un effetto domino di tristezza, che porta fino alla Conference League è una Coppa Italia allargata.

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Alessandro Ruta
Alessandro Ruta
Milanese, classe 1982, vive vicino a Bilbao. Ha scritto una quindicina di libri, non solo di sport. In passato ha lavorato per La Gazzetta dello Sport e Mediaset, oggi collabora con varie testate italiane e spagnole

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