La Brexit è imminente: da gennaio 2021 entrano in vigore le nuove regole che influenzeranno molto il calcio inglese e la Premier League. Una guida rapida per capirci qualcosa.
Come avrete sentito, sta per entrare in vigore la Brexit, quella cosa votata dagli inglesi nell’estate del 2016 e che grossolanamente possiamo semplificare in “l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea”. Una questione politica che, però, avrà grosse ripercussioni a livello sociale e anche sul mondo del calcio: la Premier League è infatti il campionato più ricco e seguito al mondo, e molte delle sue fortune sono state costruite sulla capacità di attirare giocatori, allenatori e personale tecnico dal resto dall’estero.
Questa cosa continuerà a essere possibile, ma con un po’ più di difficoltà. Infatti le nuove regole della Football Association, rese pubbliche poche settimane fa e che entreranno in vigore all’inizio del 2021, prevedono un sistema a punti per ottenere il permesso di lavoro. Le avevamo già spiegate, ma ora è venuto il momento di fare qualche esempio pratico.
La Brexit per i giocatori
Il sistema a punti della FA è riassumibile secondo un semplice principio: se sei un giocatore forte, puoi venire a giocare in Inghilterra. Quel “forte” è stabilito in base ad alcuni criteri, come il campionato da cui provieni, le apparizioni con il tuo club precedente (a livello nazionale e internazionale) e quelle con la tua nazionale. Il senso di questa norma è far sì che in campionato arrivino solo giocatori veramente abili, che contribuiscano realmente a migliorare il livello della propria squadra e del torneo. Giusto, no?
Non proprio, perché queste regole valgono per tutti i club inglesi, non solo quelli di Premier League. Per le squadre delle categorie minori, come ad esempio la Championship, è meno ovvio acquistare unicamente giocatori di buona reputazione internazionale. Paul MacInnes, sul Guardian, fa notare come esistano club come Norwich e Brentford che in questi anni hanno orientato il proprio calciomercato verso giocatori poco consciuti di campionati di secondo piano.
Per intenderci, con le nuove regole il Brentford non avrebbe potuto acquistare l’attaccante Bryan Mbeumo (15 gol e 8 assist nello scorso campionato), prelevato nel 2019 dalla Ligue 2 francese. La Brexit complicherà di molto l’arrivo di giocatori da campionati come Finlandia, Ghana, Grecia, Ecuador, Bosnia, Sudafrica e Canada, oltre che da paesi mediorientali e dalla Cina, tutti esclusi dai primi 50 posti del ranking FIFA.
La Brexit per gli allenatori
Sì, le nuove regole avranno conseguenze anche per gli allenatori e i membri dello staff, sottoposti alle stesse limitazioni dei giocatori. Può sembrare un problema marginale, visto che solitamente nessun club va a cercare tecnici senza esperienza in campionati di secondo piano, preferendo invece nomi più affermati ed affidabili. Ma ogni tanto succede, come con lo spagnolo Xisco Muñoz, nuovo allenatore del Watford, che in precedenza allenava in Georgia, 89a nel ranking FIFA.
Il suo non è un caso eccezionale: in Championship non è raro trovare allenatori che arrivano da club di scarso livello internazionale. Carlos Corberan, oggi all’Huddersfield ma in passato allenatore delle giovanili del Leeds, fu prelevato dal campionato cipriota; Vladimir Ilic, che anticipò Muñoz al Watford, proveniva dal Maccabi Tel Aviv.
Si potrebbe obiettare che nessuna di questa sarebbe una grossa perdita per il calcio inglese, ma che dire allora di Marcelo Bielsa: il tecnico argentino, uno dei più noti e apprezzati al mondo, è noto per esprimersi unicamente in spagnolo, mentre le nuove regole prevedono che un allenatore debba dimostrare una buona padronanza della lingua inglese per poter ottenere un permesso di lavoro.
La Brexit sul lungo periodo
In primo luogo, il calcio inglese rischia di perdere terreno nel calciomercato: tra la crisi dovuta alla pandemia e la crescita spropositata del costo dei cartellini dei giocatori, sempre più grandi club europei hanno potenziato i propri sistemi di scouting, cercando di arrivare sui giovani talenti prima che questi esplodono. Affari come Aphonso Davies ed Erling Haaland non sarebbero possibili, nella Premier League che verrà.
A questo problema, i club inglesi potrebbero porre rimedio modificando il proprio approccio sul mercato, investendo maggiormente nei talenti locali, ma anche creando reti di collaborazione con società straniere: se un giocatore necessita di fare esperienza per poter ottenere un permesso di lavoro, il club che lo ha acquistato potrebbe girarlo a una squadra straniera per poi riprenderlo in futuro. Questo potrebbe favorire società come il Manchester City, che già possiede succursali in giro per l’Europa, o il Wolverhampton, che grazie a Jorge Mendes ha una collaborazione già ben avviata con il Famalicão.
La Brexit, però, comporterà maggiori difficoltà nel lavoro dei direttori sportivi, che saranno molto più limitati rispetto ai rivali del resto dell’Europa, che potrebbe portare a un calo di popolarità della Premier League verso i giocatori stranieri. Ma le squadre della massima divisione inglese saranno sicuramente quelle meno colpite; per chi invece occupa le posizioni più basse della piramide del calcio inglese, le possibilità di mercato andranno riducendosi, e ci si dovrà affidare unicamente ai settori giovanili. Ma, con la contrazione del mercato estero, i giocatori britannici diventeranno più richiesti e per un piccolo club potrebbe essere molto difficile trattenere un talento in rosa. La forbice tra grandi e piccoli, così, si allargherebbe ulteriormente.
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