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Paul Merson, come non essere un calciatore professionista

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“How not to be a professional player”. Come non essere un calciatore professionista. Se avete una mezza intenzione di buttare all’aria il vostro talento, l’esempio da seguire si chiama Paul Merson. Sappiate però che Paul, a differenza vostra, ha segnato qualcosina come 120 reti in Premier League, nonostante una carriera trascorsa tra alcool, droga e gioco d’azzardo.

Il biondo Paul Charles Merson nasce il 20 Marzo 1968 a Harlesden, nel sobborgo londinese di Brent. Nel vicino vivaio dell’Arsenal trascorre la sua giovinezza, fino all’esordio in prima squadra nel 1985. Merson non ha un ruolo definito, la sua classe abbinata a una straordinaria forza fisica gli permette di giocare tanto da esterno, quanto da fantasista. Dopo qualche mese in prestito al Brentford, Paul Merson s’impossessa stabilmente della trequarti dei Gunners. Non è un 10 vero e proprio, ma un 9 e mezzo, alterna assist geniali ad un innato senso del gol.

La storia di Paul Merson, talento indiscusso degli anni ’80

L’Inghilterra calcistica di quegli anni è fuori dai radar del calcio europeo, punita per via dei terribili disastri di Bradford e dell’Heysel. Queste sanzioni però non frenano l’ascesa di una nuova generazione di talenti, tra i quali Merson eccelle. Paul fa incetta di premi giovanili e si impone agli addetti ai lavori come un giocatore dal sicuro avvenire. I primi cinque anni ad Highbury confermano i felici presagi e culminano con l’incredibile vittoria dell’Arsenal nel campionato inglese 1989-1990, fotografata con magnifica poesia da Nick Hornby nel leggendario “Febbre a 90°”. Merson dispensa classe ogni fine settimana in una squadra fenomenale piena di mostri sacri, da David Seaman a Lee Dixon, da Nigel Winterburn a Tony Adams.

Ma come quest’ultimo, il talento londinese accosta alla genialità in campo una debolezza psicologica che ne sconvolge le prestazioni. I tabloid iniziano ad accusarlo di troppo amore per la birra, lui risponde simulando di scolarsi una pinta dopo un gol. Paul Merson galleggia in questa spiacevole situazione per un anno. Ogni allenamento piange, rinfacciandosi le follie della sera precedente. Tenta i tutti i modi di allontanare le insinuazioni, scappa dalla famiglia, ma non da sé stesso. E così l’alcool si trasforma presto in cocaina, finendo la corsa in una disperata depressione. In un gelido giorno d’inverno Paul, dopo essersi imbottito di birra e cocaina, prende l’auto e si va a schiantare volontariamente a più di 140 km orari.

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Il punto di non ritorno

Con questo estremo atto di sofferenza, da cui incredibilmente ne esce vivo, il fantasista raggiunge il punto di non ritorno. Ammette di avere seri problemi d’alcolismo e inizia un percorso di disintossicazione. L’Arsenal prima lo mette fuori squadra e successivamente, una volta reinserito, lo cede al Middlesbrough. Nella contea del North Yorkshire sembra ritrovare il vecchio smalto. Arrivano gol e prestazioni convincenti, ma ben presto giungono anche i fantasmi. La città a pochi passi dal Mare del Nord è una giungla colma di pub particolari.

Prima si beve e poi, chiuse le serrande, ci si dà al poker. Paul Merson completa così la collezione dei vizi inserendo anche il gioco d’azzardo. Poco a poco il biondo centrocampista, dopo aver sperperato denaro, si isola dai compagni di squadra. Ad acuire questo distacco la rinuncia alle “bevute” di squadra dopo i match. Erano tipiche della “drinking culture” in voga in quegli anni. Evitate per non ricadere nel tunnel dell’alcool.

Paul Merson è nel pieno della maturità calcistica, si sente fisicamente rinato e riesce nell’impresa di guadagnarsi un posto per Francia ‘98. La fuga da Middlesbrough e dalle sue tentazioni è inevitabile, così dopo una sola stagione decide di trasferirsi a Birmingham, sponda Aston Villa. I primi due anni con i “Villans” si possono definire fantastici. Gol, assist e la forma dei primi anni di Arsenal. Ma nel miglior momento della sua esperienza, un terribile infortunio lo costringe a fermarsi. Inevitabile, per una mente instabile come la sua, ripiombare nel tremendo vortice alcolico. Sembra l’apoteosi della sua carriera.

Never give up

Incredibilmente, dopo un anno di riabilitazione alternata a disintossicazione, riesce a rientrare sui campi da gioco. Questa volta nelle fila del Portsmouth. E in un anno e mezzo regala ancora emozioni inanellando 44 presenze e 12 gol. Chiude quindi la carriera a Walsall.

Paul Merson è stato con Gazza, Adams e Le Tissier l’emblema di una generazione calcistica tanto talentuosa e fuori dagli schemi da preferire il vizio al successo. Un insieme di folli geni del pallone che probabilmente l’Inghilterra non vedrà mai più. Troppo forti per essere anche professionali. E l’autobiografia di Paul Merson ha un titolo che non lascia spazio a diverse interpretazioni: “How not to be a professional player”.

di Gabriele Zangarini

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