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L’addio di Dybala è il tramonto di un’idea di Juventus

CalciomercatoL'addio di Dybala è il tramonto di un'idea di Juventus

Cosa significa l’addio di Dybala alla Juventus? Un ragionamento sulla fine di un ciclo tra alti e bassi, con l’urgenza di ripartire con un progetto nuovo.

Quando arrivò dal Palermo, nell’estate del 2015, Paulo Dybala era l’inizio di una nuova epoca: la maglia numero 10 tornava metaforicamente (nei fatti, la Joya la ottenne solo nel 2017), dopo l’epoca di Del Piero, sulle spalle di un giovane talento cristallino che pareva destinato a incarnare la juventinità per almeno un decennio.

All’epoca, il suo arrivò sancì il definitivo passaggio di consegne dall’epoca di Antonio Conte a quella di Max Allegri e l’avvio di un nuovo capitolo della storia juventina: dalla squadra rinata dopo Calciopoli, alla potenza ormai consolidata e pronta a conquistarsi il tetto d’Europa. Appare quindi evidente che oggi il suo addio non possa che significare la chiusura di quel ciclo e l’inizio di un’altra fase.

Cosa resta della Juventus dell’epoca Dybala

Ma quali somme possiamo tirare da questa esperienza? A ben vedere, piuttosto negative, o comunque sotto le aspettative. Non per il rendimento di Dybala in sé, che a lungo è stato di primissimo piano, ma per il rapporto tra queste prestazioni e i risultati raggiunti, in relazione con ciç che tutti si attendevano dalla Juventus 2.0.

Chiaro: se doveva essere la Juve in grado di tornare campione d’Europa per la prima volta dal 1996, il progetto è ampiamente fallito. Ma il vero punto su cui dovremmo soffermarci è il modo in cui è fallito: nel 2015, la società bianconera scelse di costruire questo percorso su Paulo Dybala, ma solo tre anni dopo il suo ruolo di leader tecnico venne rimesso in discussione dall’arrivo di Cristiano Ronaldo.

La Joya, all’epoca, aveva appena concluso la sua miglior stagione in bianconero: a 25 anni, aveva dimostrato che la fiducia datagli era stata ben riposta, suggellando quel patto con 26 reti e 7 assist stagionali. Invece, la replica del club fu l’acquisto di un altro attaccante destinato a togliergli spazio (come certificato dal rendimento dell’annata 2018/2019: appena 10 gol e 2 assist). Se diciamo che tra club e giocatore qualcosa si è rotto, e questa frattura ha portato oggi alla rinuncia al rinnovo di contratto, allora è avvenuto in quel momento.

Da lì in avanti, complici anche gli infortuni, Dybala non è più stato lo stesso. O meglio, il modo in cui veniva percepito dalla maggioranza dei tifosi e dalla dirigenza non è più stato lo stesso (perché in una stagione come quella sotto la guida Sarri, pur tra mille difficoltà, l’argentino riuscì comunque ad avere numeri di primissimo livello). Da punto di riferimento, è divenuto un lusso superfluo, di cui appunto si può, volendo, fare anche a meno.

Che quella brusca svolta sia stata un errore, oggi, è qualcosa su cui tutti probabilmente concordano: sacrificare il rapporto Juve-Dybala per la superstar Ronaldo non ha portato alla Champions e anzi ha allontanato i bianconeri da quella posizione di forza a livello internazionale raggiunta quando era la Joya a tirare le fila dell’attacco. Ma la cessione di Ronaldo nella scorsa estate non si è trasformata automaticamente nel ritorno al passato, nel come back dell’argentino al suo vecchio ruolo di stella bianconera, ormai irrimediabilmente compromesso.

C’è un nuovo cavallo su cui puntare, ed è chiaramente Dusan Vlahovic, che con Chiesa – altro giocatore che, in questo inizio di stagione, ha dimostrato di godere di uno status di prestigio presso il tifo juventino – andrà a formare il tandem del futuro. Da loro due ripartirà la Juventus, ed è ovvio che al momento Dybala era divenuto ancora meno funzionale ad Allegri di quanto non fosse a inizio annata.

L’annuncio del mancato rinnovo è la denuncia del fallimento di un progetto, e forse ancor di più di una relazione, che non poteva essere ricomposto in nessun modo. Ora il club deve guardare avanti, cercando di non ripetere più gli stessi errori. Per Dybala, invece, la scalata verso il ruolo di top player da Pallone d’Oro riparte da qualche gradino più in basso rispetto al punto in cui tutti, sette anni fa, credevamo lo avremmo trovato.

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