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Non è vero che in Serie A si gioca per un attaccante

In Primo PianoNon è vero che in Serie A si gioca per un attaccante

La Serie A è il campionato dove si gioca per gli attaccanti? La realtà ci dice che non è proprio così. 

Dalle colonne del Corriere, il giornalista sportivo Mario Sconcerti ha dipinto il calcio italiano come un eterno ritorno all’uguale, con Juventus, Inter e Milan esempi leader di questo ritorno al centravanti come condizione necessaria e sufficiente per dominare in campionato. 

Serie A e centravanti

In quest’analisi non possiamo che non partire dalla classifica marcatori, dominata dalla sfida settimanale tra Cristiano Ronaldo, Zlatan Ibrahimovic, Ciro Immobile e Romelu Lukaku. 

“Il nostro, oggi, è infatti un campionato di mezzo tra l’avanguardia e la vecchiaia, dominato dai grandi attaccanti, Ronaldo, Ibra, Lukaku, Immobile. Se ora tornano a dominare i centravanti delle squadre migliori significa che è cambiato il gioco, si è tornati all’essenziale, non conta in quanti fanno gol, conta che la squadra lavori bene per quello che ne segna di più.”

Che la Serie A sia dominata dai grandi attaccanti, sopratutto se notiamo le prime tre posizioni di classifica occupate da Milan, Inter e Juventus, è cosa oggettivamente dimostrabile. 

Che però non conti in quanti fanno gol – o, ancor di più, chi crea e come si crea l’occasione da gol – è tutto da verificare. 

Nella Juventus oggi terza in classifica, etichettata come ritornata all’equilibrio essenziale di allegriana memoria, questo discorso è fuorviante, oltre che semplicistico. Andrea Pirlo ha preso una squadra capace di spendere più di cento milioni sul mercato e rimodellandola dopo nove anni di vittorie in una visione più offensiva e meno sintetica del gioco. 

Dopo alcuni mesi di assestamento, l’equilibrio che oggi si rivede con McKennie e Arthur al centro altro non è che l’evoluzione di un gioco si offensivo, ma che non può prescindere dal bilanciamento delle forze. Nel corso della dissertazione di Sconcerti si citano il Manchester City di Guardiola e il Liverpool di Klopp come singoli interpreti di un calcio europeo che non esiste più. 

Leggi anche: Quello che stiamo vedendo a Manchester è un altro Guardiola

Bene, se analizziamo gli obbiettivi che Liverpool e Manchester City hanno perseguito nel corso degli ultimi anni vediamo che la squadra di Guardiola ha raggiunto la vittoria della Premier League grazie a un grande attacco, capace di segnare valanghe di gol, ma che quest’anno, con avversari agguerriti e capaci di tenerne il passo, ha dovuto modificare la propria vocazione solo offensiva pensando a mantenere la porta inviolata e a cercare l’equilibrio. 

Dall’altra parte, il Liverpool di Klopp dopo anni di costruzione ha raggiunto nella stagione 2018/19 la quadratura definitiva grazie all’arrivo, guarda un po’, di Van Dijk e Alisson, rispettivamente centrale di difesa e portiere in grado di dare coerenza a un gioco che altrimenti non aveva portato ad alcuna vittoria da bacheca. La Champions League è arrivata come logica e naturale conseguenza di questa evoluzione.

Il caso Milan

Arriviamo poi al Milan di Ibrahimovic, primo in classifica e figlio di una continuità in panchina e in società che non si vedeva da tempo. 

Nell’intervento viene definito un ibrido tra l’evoluzione di un teorico calcio italiano e una deriva di calcio europeo che non esiste più – tranne che negli esempi precedenti di City e Liverpool. 

La domanda che sorge spontanea allora è: quindi che tipo di calcio si gioca in Europa? 

Ma rimaniamo sul Milan, su Ibrahimovic e sulla teorica dipendenza dallo svedese di una squadra che ha segnato 45 gol in campionato (sono 14 quelli di Ibra, con 2 assist, quindi 29 quelli senza di lui protagonista) e sta stupendo tutti per la continuità dimostrata. 

I rossoneri senza Ibrahimovic hanno giocato ben 10 partite di Serie A, vincendone 7, pareggiandone 2 e perdendo solo nella gara di San Siro contro la Juventus. I gol segnati senza lo svedese ammontano a 21 nella sola Serie A, diventando 32 se nel computo mettiamo anche le tre gare di Europa League (6 gol fatti, 2 vittorie e un pareggio) e le due partite dei preliminari (5 gol fatti, 1 vittoria e 1 pareggio). 

I rossoneri hanno mandato in rete 13 giocatori, con Kessié secondo miglior marcatore della rosa con 7 gol, ma con Calhanoglu che lo tallona a 1 gol e 5 pali. Leao ha raggiunto la cifra di 4 gol e 5 assist, Rebic con la doppietta al Crotone si è scrollato di dosso le settimane di assenza arrivando a 4 reti, Theo Herndandez e Calabria hanno segnato rispettivamente 4 e 2 reti dimostrando come il collettivo del gol del Milan sia ben funzionante e non solo Ibra-centrico. 

L’ultima considerazione riguardo i rossoneri – che prendiamo come paradigma di un campionato che non si può intendere come retto e dominato dai soli centravanti – arriva proprio da Calhanoglu. I rossoneri nell’ultimo mese hanno accusato una flessione nel livello delle prestazioni, figlie proprio della mancanza del trequartista turco. Creatore del gioco rossonero, in Serie A Calhanoglu ha fornito ben 8 assist dando il là alla considerazione successiva. 

I creatori del gioco

Nelle dichiarazioni sopra citate, Sconcerti parla di un gioco corale volto a far rendere al meglio il solo centravanti. Immobile, Lukaku, Ronaldo e Ibra sono presi ad esempio, facendo si che Napoli, Roma e Atalanta – prive di un centravanti dai numeri dominanti – siano relegate a squadre che hanno sbagliato epoca. 

Ora, la classifica recita certamente che la triade composta da Milan, Inter e Juventus stia cercando di prendere il volo rispetto alle altre, ma con sette squadre raccolte in 12 punti, è impossibile parlare di un’epoca sbagliata per chi insegue. 

La Lazio, ad esempio, viaggia si a -7 punti rispetto allo scorso anno, ma ha dimostrato in Champions League di essere diventata squadra ancor più europea di prima e il confronto previsto con il Bayern Monaco metterà alla prova questa evoluzione. Luis Alberto, Correa e Milinkovic sono assurti a totem imprescindibili per Inzaghi, che non può fare a meno della loro vena creativa.

L’Inter, seconda in classifica a meno due dai cugini, ha in Lukaku il suo miglior marcatore (14 gol) ma a poca distanza si posiziona Lautaro (10) e dietro di lui Hakimi  (6). I nerazzurri hanno segnato poi 51 gol – più di tutti in Serie A – tanando in gol 12 giocatori (uno in meno del Milan ma più di tutti gli altri). 

All’interno di questa macchina generata da Conte, Brozovic e Barella risultano fondamentali: l’apporto alla gestazione delle fasi offensive e alla transizione sia offensiva che difensiva è fondamentale, ancor di più se poi forniscono 11 assist in due, a cui si possono aggiungere i 5 di Sanchez.  

La Roma, quarta a quaranta punti e orfana del miglior Dzeko – centravanti non solo finalizzatore ma sopratutto creatore di gioco – ha segnato 44 gol, e ha in Mkhitaryan il suo centro di gravità offensivo. 8 gol e 8 assist per l’armeno, che è tutto meno che un centravanti: per questo, nel caso dei giallorossi, i dieci giocatori che sono andati a segno dimostrano la bontà di un progetto collettivo, arenatosi al quarto posto per qualche passo falso di troppo.

Il Napoli ha già conquistato 10 punti in più dello scorso anno, segnato 44 gol in Serie A e mandato in rete 11 giocatori. Senza Mertens (6 assist e 4 gol) a creare e finalizzare il gioco, la squadra di Gattuso sta cercando soluzioni alternative che portano i nomi di Lorenzo Insigne (9 gol), Hirving Lozano (9 gol) e Matteo Politano (6 gol) per dare un senso coerente al proprio gioco. Inoltre, l’assenza di Osimehn ha si pesato, ma non tanto sul solo potenziale offensivo, quanto sulla manovra di gioco che ha perso uno dei riferimenti in uscita. 

Infine l’Atalanta, regina della collettività, ha perso il Papu Gomez ma ha realizzato il miglior giorno d’andata della sua storia con 35 punti conquistati. Davanti, al fianco di Zapata (8 gol e 5 assist), Luis Muriel sta ripetendo l’annata appena trascorsa con 12 gol e 4 assist ma sopratutto sono gli 11 marcatori (più il Papu) ad aver offerto alla Dea soluzioni alternative durante le gare. 

Il rientro imminente di Pasalic, le prestazioni di Pessina e la continuità di Gosens hanno dato a Gasperini le alternative che invocava e il passaggio dei gironi di Champions confermano questa evoluzione. 

Campionato dei creatori 

Prima di concludere quindi, possiamo addurre allo schema proposto anche la differenza sostanziale tra Fiorentina e Sassuolo, distanti in classifica ben otto punti. I neroverdi sono l’esempio lampante di come non serva un centravanti dai numeri impressionanti per dar vita ad un annata importante in Serie A. 

Leggi anche: La classifica degli assist in Serie A

31 punti in classifica, la squadra di De Zerbi è l’apoteosi del collettivo con 11 giocatori in gol e 34 reti segnate, 8 delle quali ad opera del centravanti titolare, Ciccio Caputo. Il numero nove nel corso della stagione ha dovuto fare i conti con vari infortuni, che lo hanno tenuto lontano dal campo per 5 partite prima di un rientro graduale che non lo ha visto da subito nei titolari. 

Nel corso di questo periodo di assenza e riabilitazione progressiva, il Sassuolo ha comunque mantenuto il proprio rendimento costante, cosa che non ha fatto con l’assenza di Berardi. L’esterno, vero ago della bilancia creativa di De Zerbi, ha segnato 7 gol e ha fornito 4 assist, risultando decisivo nella generazione del gioco offensivo che ha portato a un sonoro +8 sulla classifica dello scorso anno. 

La Fiorentina, ha invece portato in rete solamente 7 giocatori, per un totale di 21 marcature. I punti nella classifica di Serie A sono 22, 3 in meno rispetto allo scorso anno, e Prandelli – subentrato a Iacchini – ha in Vlahovic il suo miglior marcatore con 7 reti. 

Una in meno di Ciccio Caputo, le stesse di Berardi. Dunque la differenza, sostanziale, anche lontano dalle alte posizioni di classifica, non la fa solamente la presenza di un grande centravanti, ma anche – se non sopratutto – la capacità di creare un gioco in grado di mandare in rete più giocatori possibili. 

Non limitiamoci

Dunque la Serie A è si patria dei grandi attaccanti, luogo in cui le individualità emergono fortemente (cosa che succede anche all’estero, basta dare uno sguardo alle classifiche marcatori affiancate a quelle generali), ma che il gioco si sia ridotto ad un’italianità rivendicata ma mai definita è fin troppo riduttivo. 

Nel corso degli anni, soprattutto durante quelli in cui i conti non permettevano spese ingenti da parte dei club di Serie A, si sono cercate soluzioni alternative che dessero al collettivo la possibilità di scalzare il dominio dei grandissimi giocatori, inarrivabili per questioni economiche. 

Oggi, con una Serie A più in salute rispetto al passato – considerando anche la crisi relativa alla pandemia – i sistemi corali (frutto degli anni passati) stanno includendo in maniera fruttifera grandi marcatori, capaci di segnare molti gol. 

Ma questa evoluzione – perché di questo si tratta – non è da considerare come un passo indietro, bensì come uno step ulteriore verso un calcio migliore, strutturato e costruito sulle azioni di tutti i soggetti coinvolti, e non solo sulle qualità del singolo. 

L’importanza dei campioni rimarrà, sempre, fondamentale. Ma non parlare di come si sia arrivati ad inserire dei campioni in dei sistemi che funzionano risulta limitante per la nostra Serie A.  

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