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Premier League e Brexit: cosa cambia dopo l’annuncio della FA

Calcio EsteroPremier League e Brexit: cosa cambia dopo l'annuncio della FA

Le nuove norme Brexit del calcio inglese porteranno grandi cambiamenti, che non riguarderanno solo la Premier League: nel mirino permessi di lavoro e limitazioni al mercato.

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Il momento che stavamo aspettando è finalmente giunto: nella giornata di ieri, la Football Association ha annunciato quali saranno le nuove regole del campionato inglese dovute alla Brexit. L’uscita del Regno Unito dalla UE è stata certificata da un referendum dell’estate del 2016, ma solo in questi giorni ci si è concretamente avvicinati a un accordo, prima della scadenza fissata per fine 2020.

Da quattro anni, nel calcio, ci si chiedeva infatti cosa sarebbe cambiato con la Brexit, soprattutto visto che la Premier League è il campionato più ricco e competitivo al mondo, nonché il più avanzato a livello di immagine internazionale. Un modello a cui tutti guardano e che ora dovrà affrontare due grandi cambiamenti, in vigore dal 1° gennaio: permessi di lavoro anche per i giocatori comunitari, e divieto dei trasferimenti degli Under-18.

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Le limitazioni al mercato

Con l’inizio della nuova sessione di mercato, i club britannici si troveranno quindi a dover avere a che fare con nuove regole. La prima è quella dei permessi di lavoro per gli stranieri: già oggi viene applicata nei confronti dei tesserati extracomunitari (come ad esempio Son Heung-min del Tottenham e Mohamed Salah del Liverpool), e dal 2021 sarà estesa a tutti gli stranieri. I permessi di lavoro saranno concessi tramite un sistema a punti, che seguirà critieri come le presenze internazionali del giocatore, lo status del club venditore (basato sul campionato di provenienza e i piazzamenti) e quello del club acquirente.

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Se questa misura creerà più che altro intoppi burocratici ai club di Premier League, maggiori effetti potrebbero avere le norme riguardanti i giovani: non sarà infatti possibile ingaggiare giocatori stranieri minorenni, una mossa che renderebbe impossibili colpi come quelli di Eric Garcia del Manchester City e di Sepp Van den Berg del Liverpool, o in passato gli acquisti di Cesc Fabregas da parte dell’Arsenal e di Gerard Piqué da parte del Manchester United.

La terza limitazione fissa a tre il numero massimo di giocatori under-21 acquistabili in ogni finestra di calciomercato. Sembra un criterio facile da rispettare, ma basta quadrare alla scorsa estate per scoprire che, se le nuove regole fossero già state in vigore, il Wolverhampton e il Manchester City le avrebbero violate, rispettivamente con quattro e cinque giocatori, tra cui figurano nomi di un certo livello come Fabio Silva, Ferran Torres e Pablo Moreno. Proprio la politica dei Citizens, che negli ultimi anni si è orientata a investire sui migliori giovani stranieri, potrebbe fortemente risentire delle nuove regole della Brexit.

Le conseguenze fuori dalla Premier League

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Questo per quanto riguarda il massimo campionato. Ma la Brexit avrà delle conseguenze più ampie sul calcio inglese: se i grandi club potranno riuscire ad arginare i problemi, per le squadre delle leghe minori le limitazioni sui permessi di lavoro diventano molto più problematiche, e potrebbero costringerle a una rivoluzione del loro approccio manageriale, concentrandosi più sui prodotti locali che sugli stranieri. Se questa può sul subito sembrare una buona cosa, rischia però di avere grosse conseguenze sul lungo periodo, scavando un solco sempre più grande tra le ricche venti della Premier e tutte le altre.

Poi, c’è la questione riguardante il calcio femminile. la Women’s Super League dipende infatti dalla FA e dovrà sottostare alle nuove regole, anche se sui permessi di lavoro non si terrà conto di alcuni criteri, come le presenze internazionali giovanili o lo status europeo del club venditore. Ma il campionato inglese, che da questa stagione in particolare si sta affermando come il migliore al mondo anche grazie alle numerose star internazionali acquistate in estate, ora rischia di dover fare un brusco passo indietro.

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La Brexit, inoltre, non riguarda la sola Inghilterra, ma tutto il calcio britannico, ovverosia anche i club scozzesi, gallesi e nordirlandesi, dipendenti da altre federazioni che adesso dovranno elaborare le loro norme, ma che difficilmente si discosteranno di molto da quelle della FA. Rangers e Celtic, i due più importanti club britannici non-inglesi, hanno rispettivamente otto e quattordici giocatori stranieri in rosa, tra cui alcuni molto giovani come Jeremie Frimpong o Ianis Hagi. Le conseguenze per il calcio scozzese (una regione in cui il Remain ha vinto con il 62%) potrebbero essere molto pesanti.

Il calcio inglese e la Brexit

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Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non tutto il mondo del calcio inglese si è opposto alla Brexit. Sol Campbell, ex-difensore di Arsenal e Inghilterra, ha sostenuto ad esempio che la Premier League potrebbe essere migliorata, ma per farlo “dobbiamo riprendere il controllo del gioco che amiamo”. La stessa posizione è sostenuta anche da figure come Neil Warnock, Peter Shilton, David James e John Barnes: in Premier League ci sarebbero troppi allenatori e giocatori stranieri, che tolgono spazio ai britannici.

La vasta presenza di calciatori e tecnici (ma anche di proprietari) stranieri in Premier League è un fatto inequivocabile, ma è anche ciò che ha reso il campionato inglese così spettacolare, ricco e famoso, ma soprattutto competitivo. I detrattori sostengono che però, per contro, abbia impoverito il calcio locale, indebolendo la Nazionale. Eppure nel 2018 l’Inghilterra è arrivata quarta ai Mondiali, migliori risultato dal 1990, e nel 2017 ha vinto sia il titolo europeo Under-19 che il Mondiale Under-20.

È difficile prevedere cosa succederà, anche se i britannici possono guardare a un esempio del passato, che riguarda proprio l’Italia: nel 1966, dopo la sconfitta con la Corea del Nord, nel nostro paese si chiusero le frontiere ai calciatori stranieri. Questo portò, sul lungo periodo, a formare la generazione che avrebbe poi vinto il Mondiale del 1982, ma allo stesso tempo causò il declino della Serie A, che negli anni Sessanta era il migliore campionato al mondo, con club dominanti a livello europeo, e nel decennio successivo rimase quasi del tutto a secco di trofei.

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