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Dalla Fiorentina all’Italia: com’è cambiato il gioco di Roberto Mancini?

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L’Italia bella di Roberto Mancini testimonia l’evoluzione del gioco del tecnico marchigiano, oggi alle prese con un’operazione di restyling della sua immagine e, di conseguenza, della sua carriera.

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Il nuovo corso dell’Italia ci ha regalato un’inversione di tendenza storica, con l’evoluzione verso un gioco più moderno e posizionale, che ha messo gli Azzurri in linea con lo stile delle nazionali più forti del mondo.

Un risultato non da poco per il ct Roberto Mancini, prima d’oggi noto soprattutto per un modo di giocare che, negli anni, aveva preso una direzione molto diversa rispetto a quella che vediamo con la Nazionale. Mancini ha dimostrato a tutti di sapersi adattare ai tempi, di saper cambiare idea e reinventarsi completamente.

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Dalla tecnica al fisico: il primo Mancini

Si sa che la carriera da allenatore di Roberto Mancini è iniziata tra le polemiche, ma se la sua ascesa è stata così rapida è perché l’ex-10 della Sampdoria ha fin da subito dimostrato conoscenze tattiche e idee innovative nell’ambito calcistico italiano dei primissimi anni Duemila, frutto più di ciò che aveva imparato con Boskov rispetto al più difensivista Eriksson, di cui era stato assistente alla Lazio.

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Nei suoi primi anni da allenatore, nonostante la vittoria non scontata di due Coppe Italia, Mancini si costruisce la fama di manager spettacolare, interessato più al gioco che ai risultati. Arrivato all’Inter, chiede a Moratti soprattutto giocatori tecnici come Mihajlovic e Veron, e ancora l’anno successivo fa aggiungere alla rosa Pizarro e Figo. Ma quella è anche l’Inter criticata per i suoi troppi pareggi, che costruisce tanto ma concretizza poco e che spesso non riesce a difendere i risultati.

Le pressioni dell’ambiente si fanno sentire, soprattutto perché l’Inter è una società che non vince il campionato da 16 anni; così Mancini decide di cambiare, andando incontro a un gioco improntato sul dominio fisico delle partite: l’arrivo di Samuel in difesa e l’affermazione sempre più decisa di Cambiasso a centrocampo sono i primi segni di un cambiamento che si rivelerà decisivo.

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L’estate del 2006 è il vero momento di svolta: lo scandalo Calciopoli rende disponibili sul mercato Ibrahimovic e Vieira, la crisi della Roma libera Dacourt, e dal Monaco i nerazzurri si assicurano Maicon. Centrimetri e muscoli si aggiungono in maniera determinante alla rosa, mentre in contemporanea se ne vanno Pizarro, Martins e Veron. E l’Inter diventa finalmente vincente.

Questa idea di gioco, basata sulla fisicità e sulla costruzione di una diga muscolare sulla mediana, è molto più da Eriksson che da Boskov, ed è ciò che stuzzica gli inglesi. Il Manchester City di Mancini la sposa in pieno: tra i suoi primi acquisti figurano Balotelli, Yaya Touré, Kolarov e Dzeko; tra i giocatori simbolo della stagione dello scudetto ci sono Kompany, Lescott, Barry e lo stesso Touré.

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Sono gli stessi principi che Mancini prova poi a riproporre nel suo fugace ritorno all’Inter nel 2014, cercando prima di tutto di rafforzare il centrocampo con gli innesti di Kondogbia e Felipe Melo, che vanno ad aggiungersi a Medel. Ma le cose non gli andranno altrettanto bene come in passato.

Il calcio cambia, Mancini cambia

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Il fatto è che, negli anni, il calcio è cambiato. Da Guardiola in avanti, la ricerca della tecnica ha superato quella della fisicità, e i club hanno iniziato a privilegiare l’identità tattica rispetto al risultato immediato. La progettualità è la nuova parola d’ordine anche tra i top club: il Bayern Monaco ha insegnato che costruire un progetto vincente richiede pazienza, ma è vantaggioso sul lungo periodo. Ne consegue che i giovani hanno assunto un ruolo fondamentale, rispetto alla ricerca di costosi campioni già formati.

Tutte idee da cui Mancini si era progressivamente allontanato. Gli anni all’Inter e al City lo hanno qualificato come un allenatore pragmatico, poco spettacolare e “costoso”, perchè richiede grandi investimenti per vincere subito. Un tipo di allenatore che è divenuto sempre meno di moda: all’Inter, l’ultima volta, lo scontro con Thohir è avvenuto per l’impossibilità di spendere le cifre che l’allenatore riteneva necessarie. La carriera di Mancini è quindi scivolata in campionati minori, come Turchia e Russia.

La Nazionale si è presentata quindi come l’occasione perfetta per un restyling del volto dell’allenatore Roberto Mancini. Un nuovo tipo di gioco, più moderno e in linea con quello degli inizi di carriera; l’attenzione maggiore ai giovani (Bastoni, Tonali, Locatelli e Kean, tanto per citarne alcuni); quel senso di progettualità oggi ritenuto imprescindibile ad alti livelli. L’Italia è quindi un trampolino di (ri)lancio per un allenatore che ambisce a tornare nel giro che conta, con un rinnovamento che raramente è riuscito ai suoi colleghi.

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