Israele e Palestina sono attraversate da una guerra che dura da decenni, e che in questi giorni è tornata a una delle sue fasi più drammatiche. Come siamo arrivati a questo punto?
La storia del conflitto israelo-palestinese è molto antica e complessa. La regione storica nota come Palestina è stata sotto dominio ottomano fin dagli inizi del Cinquecento, ma è solo verso l’inizio del Novecento che inizia a verificarsi l’immigrazione di ebrei europei in questa regione. Questo fenomeno avvenne sotto la spinta del movimento sionista, che rivendicava la creazione di uno stato ebraico in Palestina, nel territorio da cui molti ebrei erano stati costretti a fuggire nei secoli antichi. Le persecuzioni antisemite in molti paesi europei, soprattutto in Russia (dove si verificarono frequentemente i cosiddetti pogrom), spinsero buona parte della popolazione ebraica del Vecchio Continente a emigrare.
È però dopo la Prima Guerra Mondiale, a partire cioè dal 1920, che la Palestina vive una forte immigrazione di ebrei dall’Europa. Ciò si deve alla dissoluzione dell’Impero Ottomano, che porta la Palestina sotto mandato britannico, in uno stato di semi-autonomia. È durante questa fase che si verificano i primi scontri etnici tra gli ebrei europei (a cui si aggiungo gli ebrei palestinesi già presenti sul territorio) e gli arabi di religione musulmana (anch’essi già abitanti locali). Di fatto, la Palestina si vede divisa tra una maggioranza araba musulmana e una minoranza ebraica di origine europea che va rapidamente crescendo (grazie all’emigrazione polacca, dopo il 1924, e tedesca, in seguito alla leggi razziali nella Germania nazista). Il fatto che molti ebrei europei fossero anche di famiglia benestante e con buona educazione, fece sì che presto andarono a costituire un’elite economica nella regione.
Dal 1929 gli scontri tra le due fazioni divennero molto frequenti e sempre più cruenti, portando anche alla formazione di gruppi paramilitari. Le autorità britanniche in Palestina fallirono nel ridimensione le tensioni etnico-nazionaliste, alimentando anzi critiche da entrambe le fazioni. Questo portò a una rivolta degli arabi nel 1936 contro i britannici, che durò ben tre anni. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la maggior pate dei gruppi sionisti si rivolse agli Alleati, in particolare agli Stati Uniti, mentre i gruppi palestinesi virarono verso l’Asse. Al termine del conflitto, le potenze vincitrici stabilirono la nascita di uno stato ebraico in Palestina, lo Stato d’Israele, che vide la luce nel 1948.
Il conflitto tra Israele e Palestina dopo il 1948
La decisione dell’ONU fu di dividere il territorio palestinese in due zone, una controllata dagli ebrei e l’altra dagli arabi, spartendo il territorio su base etnica abbastanza egualitaria. Il problema era che le due rispettive aree erano geograficamente discontinue, cosa che scontetò tutti. Il giorno stesso (15 maggio 1948) in cui i britannici si ritirarono dalla Palestina, una coalizione composta da Egitto, Siria, Transgiordania, Libano e Iraq attaccò Israele per supportare le rivendicazioni della popolazione araba. La guerra terminò all’inizio del 1949 con una vittoria israeliana, che ebbe come conseguenza l’immediata occupazione di parte dei territori che l’ONU aveva assegnato agli arabi palestinesi, molti dei quali dovettero emigrare nelle ultime zone a loro destinate. Questa conclusione della guerra è nota, da parte araba, come la Nakba, la “catastrofe”.
Di fatto, dal 1949 si crea una situazione per cui Israele detiene il controllo di gran parte dei territori della regione palestinese, mentre agli arabi (da qui in avanti chiamati generalmente “palestinesi”) restano una grossa regione occidentale, la Cisgiordania (o West Bank, in inglese) e un fazzoletto di terra lungo la costa mediterranea fino al confine con l’Egitto, la Striscia di Gaza.
Da qui in avanti, le guerre tra gli israeliani e i palestinesi, sostenuti da vari stati arabi, non hanno fatto che susseguirsi: la guerra con l’Egitto del 1956, la guerra dei sei giorni del 1967 (la termine della quale Cisgiordania e Striscia di Gaza, protette da Giordania ed Egitto, vengono occupate da Israele), la guerra del Kippur del 1973, la guerra in Libano del 1975, la Prima Intifada del 1987 (una rivolta palestinese che porta alla proclamazione dello Stato della Palestina). Negli anni Novanta si verifica un sorprendente avvicinamento tra i due paesi, propiziato dal leader di Al Fatah Yasser Arafat e dal Primo Ministro laburista israeliano Yitzhak Rabin. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) riottiene così il controllo della Striscia di Gaza.
Nel 1995, l’assassinio di Rabin da parte di un estremista israeliano riapre la via del conflitto. Le nuove tensioni portano alla Seconda Intifada nel 2000 e, in riposta, a una serie di operazioni militari sempre più dure da parte delle forze israeliane nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, la morte di Arafat nel 2004 apre una crisi di potere in Palestina, che degenera nel 2007 in una guerra civile tra Al Fatah e il movimento islamista Hamas: al termine di questo scontro, Hamas ottiene il controllo della Striscia, mentre a Fatah resta la Cisgiordania. L’ascesa al potere in Israele di Benjamin Netanyahu, leader del partito di estrema destra Likud, nel 2009, ha segnato un ulteriore peggioramente dei rapporti tra i due paesi, con l’avvio di una massiccia politica di colonizzazione dei territori palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e l’imposizione di un blocco su Gaza.
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