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Kobe Bryant e il calcio

CuriositàKobe Bryant e il calcio

Kobe Bryant, una delle più grandi icone dello sport contemporaneo, ci lasciava tragicamente un anno fa, in un incidente di volo. Cresciuto tra gli Stati Uniti e l’Italia, qui da noi aveva sviluppato la sua passione per il calcio.

Un sito che si occupa di calcio non è forse il posto più adatto dove trovare un ricordo bello e approfondito su uno straordinario giocatore di basket com’è stato Kobe Bryant, morto improvvisamente e tragicamente il 26 gennaio 2020 – quasi un anticipo, se così vogliamo vederla, del terribile anno che sarebbe seguito – in un incidente a bordo di un elicottero.

Ma Bryant – chiamolo così, perché il più colloquiale Kobe è giustamente riservato agli appassionati di basket – aveva anche un ottimo rapporto con il calcio, dovuto agli anni trascorsi in Italia e a una passione sportiva che travalicava i confini dei palazzetti. E questa è una cosa di cui, modestamente, un pochino possiamo raccontare.

Gli anni italiani

Nato a Philadelphia, Kobe Bryant arrivò in Italia a sei anni, seguendo il padre Joe a Rieti nel 1984. Rimase nel nostro paese fino al 1991, quando aveva già 13 anni, spostandosi a Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, lungo le tappe della carriera sportiva del genitore.

Si avvicinò così immancabilmente al calcio, che nel nostro paese godeva di una dimensione molto maggiore rispetto a quella che aveva negli Stati Uniti. Paradossalmente, l’anno in cui lasciò l’America fu anche quello del definitivo fallimento della NASL, il campionato nordamericano di calcio. L’anno della sua nascita (1978), invece, era stato quello che aveva visto sorgere un club di calcio anche nella sua Philadelphia, peraltro patrocinato da alcuni noti musicisti come Rick Wakerman, Mick Jagger e Paul Simon, e il cui ultimo allenatore fu l’ex-Sampdoria, Genoa e Inter Eddie Firmani.

Le prime tappe della vita italiana dei Bryant non li portarono in centri calcisticamente di primo piano, ma mentre il giovane Kobe entrava nell’adolescenza e si integrava nel nuovo paese, emergeva il Grande Milan di Sacchi, destinato a diventare la sua squadra del cuore. Uno dei posti con cui legò maggiormente fu Reggio Emilia, dove arrivò in contemporanea con la promozione in Serie B della Reggiana di Beppe Marchioro, con in attacco il promettente Andrea Silenzi, che fece da anticipo della salita in Serie A del 1993.

Il rapporto di Kobe Bryant con il calcio

“Sono cresciuto in Italia, giocavo a calcio tutti i giorni” raccontò nel 2014 in un’intervista per il sito della FIFA, rilasciata dopo aver assistito ad alcune partite dei Mondiali brasiliani; aggiunse anche che il calcio era il suo sport preferito in assoluto, anche più del basket. Fin da ragazzo doveva essere maggiormente portato a usare le mani invece che i piedi, tanto che iniziò come portiere: “Le mie braccia erano molto lunghe. Poi feci dei progressi, e divenni centrocampista”.

Quando, nella seconda metà degli anni Novanta, il suo talento sui campi da basket divenne chiaro a tutti, qualcuno gli chiese da dove venisse il suo stile di gioco e la sua ampia visione del campo, e Bryant rispose: “Dal calcio, dai miei anni in Italia”.

La sua passione per il calcio è così divenuta nota anche negli Stati Uniti, dove Bryant si è trovato spesso a supportare la Nazionale femminile o a partecipare a partite benefiche, come quella che nel 2011 lo vide accanto a Pep Guardiola, Eddie Pope (ex-difensore dei DC United) e alle calciatrici Ali Krieger e Alex Morgan. Tra il 2012 e il 2015 poté anche condividere il suo amore per il soccer col compagno di squadra Steve Nash, canadese di origine britannica e grande fan del calcio.

Negli anni ha rivelato di essere un tifoso pure del Barcellona, e ha dimostrato un certa vicinanza anche ai Los Angeles Galaxy, ricco club della MLS con sede nella sua città adottiva (Bryant ha trascorso tutta la sua carriera ai Los Angeles Lakers), da cui sono passate stelle come David Beckham, Landon Donovan, Robbie Keane, Steven Gerrard e anche Zlatan Ibrahimovic.

Un grande sponsor per il calcio

Jeff Carlisle su ESPN ha spiegato molto bene l’impatto che Kobe Bryant ha avuto sulla promozione del calcio negli Stati Uniti: il suo continuo riferirsi a come questo sport abbia influenzato il suo modo di giocare ne ha fatto un eccellente sponsor per uno sport che ha sempre faticato a decollare in Nord America, nonostante abbia avuto testimonial eccellenti come Pelé e Cruijff.

La sua rete di amicizie con il mondo del football europeo, come quelle con Ronaldinho e Messi, ha reso questo sport molto popolare negli USA, andando di pari passo con la crescita di ambizioni della MSL degli ultimi quindici anni. E ovviamente non parliamo solo del settore maschile, ma anche di quello femminile, le cui stelle sono state accreditate da Bryant come dei punti di riferimento delle sue figlie.

Questa storia ci ricorda come Kobe Bryant sia stato realmente uno sportivo totale, sia nel lavoro che nella passione agonistica. Per lui vale assolutamente un termine spesso usato a sproposito, quello di “patrimonio collettivo”: è stato un patrimonio collettivo dello sport, di tutti gli sport.

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