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Perché in Inghilterra si parla del legame tra calcio e demenza senile

NotiziePerché in Inghilterra si parla del legame tra calcio e demenza senile

La demenza senile colpisce sempre più calciatori: l’ultimo in ordine di tempo è Sir Bobby Charlton, che ha fatto tornare d’attualità uno studio dai risvolti sorprendenti sul legame tra il calcio e questo terribile male.

Con i suoi 120 anni di storia “The Hawthorns”, lo stadio che da sempre ospita le partite del West Bromwich Albion, è uno degli impianti più affascinanti di tutta l’Inghilterra, anche se l’ultimo successo ottenuto dal club di casa è la FA Cup datata 1967/1968. Una gara entrata nella storia dei Throstles e decisa da un gol dell’idolo locale Jeff Astle, scomparso nel 2002 e dall’anno successivo raffigurato sui cancelli che accolgono i tifosi e che il club gli ha dedicato.

Calcio e demenza senile: la storia di Jeff Astle

La storia di Jeff Astle (nella foto in copertina) è molto nota in tutta l’Inghilterra ed è stata la prima a prospettare un legame tra calcio e demenza senile: “The King”, come era soprannominato dai suoi tifosi, morì ad appena 59 anni dopo aver trascorso gli ultimi 5 senza ricordare minimamente chi fosse stato, non riconoscendosi persino nella gigantografia che egli stesso aveva voluto esposta in casa, una foto che ritraeva il famoso gol contro l’Everton, un momento che per tutta la vita aveva detto che non avrebbe mai dimenticato.

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Invece, purtroppo, Astle dimenticò: e quando il medico legale esaminò il suo corpo notò la presenza di numerosi traumi al cranio che avevano causato la sua precoce demenza senile. Eccezionale colpitore di testa, “The King” era stato tradito proprio dal pallone, trasformandosi poco più che 50enne nell’ombra del brillante comico che aveva conquistato tutti anche una volta appesi gli scarpini al chiodo nel seguitissimo programma televisivo “Fantasy Football League”.

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Fonte Immagine: topsox (@Instagram)

Oggi la Jeff Astle Foundation si occupa di approfondire sempre di più i possibili legami tra il calcio e la demenza senile. All’indomani della morte dell’idolo del WBA molti ricordarono un altro caso molto discusso, quello del leggendario capitano del Tottenham Danny Blanchflower, scomparso a 67 anni dopo aver sofferto a lungo di Alzheimer e Parkinson: oggi se ne torna a parlare insistentemente dopo che lo stesso male è stato diagnosticato a Bobby Charlton, eroe nazionale e campione del mondo nel 1966 e oggi 83enne.

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Un nome che fa rumore, più di chi lo ha preceduto: più di Astle e Blanchflower, più di Nobby Stiles e John Charles, più dello stesso fratello Jack scomparso lo scorso luglio. Un nome che potrebbe finalmente portare a un cambiamento, dopo che la PFA, l’associazione dei calciatori professionisti, ha comunicato di aver istituito una speciale task force per studiare più nei dettagli gli effetti che numerosi colpi di testa possono avere su un giocatore a lungo termine.

Demenza senile, i calciatori rischiano fino a tre volte e mezzo in più

Già lo scorso anno uno studio finanziato dalla Football Association aveva evidenziato come i calciatori avessero tre volte e mezzo di probabilità in più di essere colpiti da demenza senile: i casi che solo negli ultimi mesi hanno colpito i fratelli Charlton e Nobby Stiles hanno aumentato la preoccupazione di calciatori ed ex calciatori, con il ct dell’Inghilterra Gareth Southgate – da giocatore uno specialista nei colpi di testa – che ha chiesto studi ancora più approfonditi.

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“Ho avuto esperienze in famiglia di questa terribile malattia e sono ovviamente preoccupato. Vorremmo avere più risposte, purtroppo tanti studi sono ancora in corso. Come la maggior parte degli atleti, comunque, non avrei mai rinunciato alla mia carriera, anche sapendo che andavo incontro a rischi a medio-lungo termine.”

calcio demenza senile
Fonte Immagine: drive_x_strike (@Instagram)

È importante sottolineare come nel tempo i palloni utilizzati nel calcio siano diventati via via più leggeri: ai tempi di Astle il cuoio, appesantito dalla pioggia, poteva diventare una vera e propria pietra, anche se restano comunque le preoccupazioni dei tanti che pur avendo giocato in tempi più recenti sono in attesa di studi più approfonditi e di risposte, come Southgate o Dean Smith, manager dell’Aston Villa.

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“Demenza senile e Alzheimer sono tra le malattie più diffuse al mondo. Però se i dati dimostrano che c’è una correlazione tra i colpi di testa e la demenza senile dovremo per forza intervenire per fare qualcosa.”

Un futuro senza colpi di testa?

Una proposta arriva infine da Frank Lampard, che si è espresso sul tema proponendo di escludere il gioco aereo almeno durante lo sviluppo dei giovani calciatori, lasciando intendere che questo almeno è quello che potrebbe fare il suo Chelsea.

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“Dobbiamo essere sicuri di non danneggiare ragazzi ancora in via di sviluppo, in attesa di conoscere i risultati degli studi e capire quali possono essere le eventuali soluzioni. A livello giovanile possiamo già farlo, qualsiasi cosa serva per rendere più sicuri gli allenamenti deve essere fatta.”

Negli anni ’60 del XIX secolo, all’alba del football, i membri della Football Association di Londra che si recavano a vedere le gare giocate sotto le “Sheffield Rules” si stupivano nell’osservare per la prima volta i colpi di testa, ai loro occhi una vera e propria bizzarria e invece diventati parte integrante del gioco. Immaginare oggi un calcio privo di questo fondamentale gesto tecnico è ovviamente impossibile, ma certo è che se gli studi confermeranno quanto in molti pensano una soluzione andrà comunque trovata.

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