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Come Guardiola ha reinventato la Piramide di Cambridge

Calcio EsteroCome Guardiola ha reinventato la Piramide di Cambridge

Durante la gara vinta 5-0 con il Burnley il Manchester City di Guardiola si è disposto in campo secondo i dettami del 2-3-5, la famosa “Piramide di Cambridge” utilizzata dai pionieri dell’Inghilterra vittoriana. Non è la prima volta che le squadre del tecnico spagnolo percorrono questo percorso, ma la sensazione è che mai come stavolta Pep sia vicino alla perfezione.

Nonostante non riesca ad alzare al cielo la Champions League dall’ormai lontano 2011, anno del secondo e fino a oggi ultimo successo in carriera, Pep Guardiola viene ancora oggi considerato da molti appassionati di calcio il miglior allenatore al mondo, più dell’eterno rivale José Mourinho e di quel Jurgen Klopp che quest’anno, fresco campione d’Europa, ha messo in riga in Premier League il Manchester City del tecnico catalano.

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Il motivo di tanta popolarità è presto detto: al di là dei risultati sul campo, che Champions a parte sono sempre rimasti su livelli d’eccellenza durante le sue esperienze nei tre campionati top d’Europa – secondo l’attuale ranking FIFA – Guardiola si è conquistato uno zoccolo duro formato da milioni di fan in tutto il mondo grazie alla ricerca di una sorta di “utopia calcistica”, l’idea di sviluppare un “modulo tattico perfetto”, capace di coniugare spettacolo e vittorie, in un mondo dove non esiste la perfezione.

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Fin dalla prima esperienza alla guida del Barcellona, era evidente la volontà dell’allenatore catalano di lasciare un segno nella storia del gioco, la voglia – quasi una necessità – di creare un calcio immediatamente riconoscibile, di scrivere un nuovo capitolo di quel grande libro dell’evoluzione tattica che ormai in molti ritenevano ormai concluso. Guardiola ha dimostrato più volte che questa convinzione era sbagliata, e lo ha fatto ancora una volta andando a reinventare la “Piramide di Cambridge”, universalmente riconosciuta come il primo vero e proprio modulo di gioco nella storia dello sport più bello del mondo.

Un “ritorno alle origini” già intravisto a Barcellona e che di anno in anno è diventato via via sempre più estremo, con la ricerca sempre più dettagliata dei giusti interpreti e che ha portato al 2-3-5 con cui il Manchester City ha colpito l’immaginario collettivo nel 5-0 rifilato al Burnley: Guardiola sembra avere ormai completato il mix tra la Piramide, che permise a Jack Hunter e al suo Blackburn Olympic di conquistare la FA Cup del 1883 e chiudere la stagione degli Old Boys, e i propri principi tattici di pressing e gioco di posizione, irrinunciabili in un calcio ovviamente ben diverso da quello praticato in Inghilterra quasi un secolo e mezzo fa.

Un percorso, quello di un allenatore destinato a essere studiato nei libri di storia al di là dei notevoli risultati raggiunti, cominciato il 13 agosto del 2008 con il 4-0 rifilato ai polacchi del Wisla Cracovia (playoff di Champions League, doppietta di Eto’o e reti di Xavi e Henry) e che potrebbe raggiungere un nuovo apice – coronavirus permettendo – il prossimo 23 agosto a Lisbona con la vittoria della Champions League, impresa difficile ma che nessuno può considerare impossibile vista la qualità di De Bruyne e compagni.

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Guardiola-Barcellona e Messi falso nueve

Promosso tecnico della prima squadra al posto di Frank Rijkaard, Guardiola chiede ed ottiene la cessione di numerosi pezzi da novanta: partono Zambrotta ed Edmilson, soprattutto Deco e Ronaldinho, si ritira Thuram e arrivano Keita, Dani Alves, Caceres mentre viene promosso dal settore giovanile Sergio Busquets, tutt’ora pilastro del club come Piqué che quell’anno torna alla base dopo essere fuggito al Manchester United.

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Il Barcellona 2008/2009 verrà ricordato come una delle squadre più forti di sempre: i blaugrana vincono tutto, Messi – a cui Guardiola ha cucito addosso il ruolo di falso nueve – esplode definitivamente segnando 38 reti. I blaugrana spesso incantano in campo e mostrano già i principi tattici propri del tecnico: gioco offensivo, scambi stretti, pressing alto e immediato e un costante, a volte apparentemente eccessivo, possesso del pallone.

Il modulo, sulla carta, è un 4-3-3, ma soprattutto in fase di costruzione è possibile intravedere la Piramide: il mediano centrale si abbassa sulla linea dei difensori, i terzini salgono fino a centrocampo e le ali si accentrano nel momento in cui Messi, arretrando sulla trequarti, diventa il perno di una sorta di tridente che sulla trequarti oltre alla Pulce coinvolge anche due finissimi palleggiatori come Xavi e Iniesta.

 

Guardiola Barcellona formazione
Dal 4-3-3 si passa a una specie di 3-4-3 con l’accentramento di Abidal, mentre Alves sale a fare l’ala del tridente d’attacco con Eto’o di punta e Messi vertice alto del rombo di centrocampo.

Negli anni successivi il progetto viene sempre più perfezionato, con alcune modifiche in corso d’opera come ad esempio l’inserimento a destra di Pedro che permette a Dani Alves, vero e proprio “regista di fascia”, di avanzare ancora di più il proprio raggio d’azione. Un concetto diventa evidente: nel Barcellona tutti i giocatori a turno possono – anzi, devono – essere registi e, soprattutto, tutti sono “centrocampisti” secondo i concetti del gioco di posizione propri del Calcio Totale olandese e portati al Camp Nou a suo tempo dal grande Johan Cruijff.

A differenza di quanto credono in molti il Tiki-taka non è un’invenzione di Guardiola, che semmai insieme al fedele vice Tito Vilanova riprende la continua ricerca del fraseggio corto della Spagna 2006 di Luis Aragonés adattandola alla sua idea di calcio.

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Guardiola-Bayern Monaco, un discorso interrotto a metà

A proposito di Cruijff, Guardiola sottolineò una volta di come il grande campione oranje avesse affrescato la cappella blaugrana e di come i successori si fossero limitati semplicemente ad aggiungere qualche pennellata di tanto in tanto. Forse è anche per questo, per mettersi alla prova in un ambiente diverso, che nel gennaio del 2013, sei mesi dopo aver lasciato il club che ha portato in cima al mondo, annuncia a sorpresa il suo accordo con il Bayern Monaco.

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L’esperienza in Germania durerà tre stagioni e pur se considerata generalmente un mezzo passo falso porterà ai bavaresi altrettanti successi in Bundesliga, due coppe di Germania e al tecnico una percentuale di vittorie pari al 75%. E se è vero che in Champions League il Bayern si ferma ogni volta in semifinale, Guardiola prosegue nella sua ricerca del modulo perfetto dovendo però per forza abbandonare alcuni principi coltivati in Spagna.

Adattandosi ai giocatori che si trova ad avere a disposizione, primo tra tutti il possente finalizzatore Lewandowski, Guardiola opta per un 4-1-4-1 che però sembra andare ancora di più incontro alla Piramide del XIX secolo: a due tra i più forti terzini al mondo, Alaba e Lahm, viene chiesto di accentrarsi per permettere l’avanzata dei due interni, Thiago e Thomas Muller, che vanno ad aggiungersi a due esterni bravi nel puntare l’area avversaria come Robben e Ribery.

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Il Bayern Monaco spesso domina, i suoi giocatori sono per la maggior parte ancora più universali rispetto a quelli del Barcellona e la sensazione e che sarebbe bastato un risultato fortunato in più in Europa – e qualche infortunio in meno negli uomini-chiave – per esprimere oggi tutt’altro giudizio sull’esperienza tedesca di Guardiola. Parliamo comunque di tre anni positivi e in cui il tecnico catalano si dimostra molto meno rigido di come si potrebbe pensare e capace di adeguarsi tatticamente al materiale umano che si trova ad avere a disposizione.

Guardiola Bayern Monaco formazione
Il 4-1-4-1 del Bayern Monaco di Guardiola sfrutta la forza degli esterni e le qualità atletiche del bomber Lewandowski, che apre gli spazi per gli inserimenti di Muller mentre Thiago opera da play collegandosi con Xabi Alonso, che opera in mediana affiancato dai due terzini che non avanzano ma si allargano e accentrano a seconda della situazione.

 

Guardiola-Manchester City, ecco la Piramide

Per ripartire, Pep decide di sposare l’ambizioso progetto del Manchester City, che intende creare la squadra più forte mai vista e si affida in tutto e per tutto a lui. I risultati sono una serie di campagne acquisti faraoniche – e che potrebbero in effetti essere pagate con la squalifica dalle competizioni europee da parte della FIFA – alla costante ricerca degli interpreti ideali per il tipo di calcio che Guardiola ha in mente.

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Dopo un primo anno passato a gettare le basi e ad adattarsi ai ritmi del calcio inglese, Guardiola e il City si prendono la scena nella stagione 2017/2018 conquistando Coppa di Lega e Premier League, trofei che 12 mesi più tardi vengono ripetuti e vanno ad aggiungersi alla FA Cup e al Community Shield. I Citizens sono un vero e proprio schiacciasassi in patria, ma in Europa ancora una volta il tecnico catalano paga una singola partita storta che vanifica il lavoro di mesi.

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Certo nel calcio non esiste il modulo perfetto né quello capace di avere la meglio sugli altri, e del resto è per questo motivo che esistono tante scuole di pensiero. Altrettanto efficace, di più prendendo in esame questa stagione, si è rivelata quella di Jurgen Klopp e del suo calcio verticale, decisamente agli antipodi rispetto a quello di Guardiola. I Reds tuttavia sono inaspettatamente fuori dalla Champions League, mentre i Citizens hanno un piede ai quarti dopo aver sconfitto il Real Madrid in Spagna con un 2-1 che è stato loro persino stretto.

Vada come vada la sensazione è che Guardiola non si fermerà, e che la Piramide di Cambridge – oggi quasi perfettamente “riesumata” con tutte le pedine nel posto giusto – tornerà a distanza di quasi 150 anni a essere protagonista nel calcio. Quanto visto contro il Burnley, del resto, è soltanto l’evoluzione di un lavoro portato avanti da anni da uno dei tecnici più unici e visionari che il gioco più bello del mondo ha mai visto.

Nel Manchester City i terzini occasionalmente replicano i movimenti del Bayern Monaco (anche se non è un dogma e possono distendersi anche sulla fascia) permettendo così agli interni di avanzare quasi sulla linea degli attaccanti, dove operano anche i due esterni d’attacco. Come accadeva nel Barcellona con Iniesta e Henry, anche in questo caso David Silva può spostarsi a sinistra permettendo a Sterling di accentrarsi.

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