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“Diego Maradona”, luci e ombre del Dio del calcio

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Nel documentario uscito nel 2019 il regista anglo-indiano Asif Kapadia racconta Diego Maradona senza filtri o giudizi, lasciando parlare le immagini e permettendo allo spettatore di comprendere la dimensione umana e fragile della più grande icona nella storia del calcio.

Esisterà mai, o è mai esistito, qualcuno più grande di Diego Maradona? È questa la domanda che chiunque sia innamorato del gioco più bello del mondo si è posto almeno una volta nella vita. Una risposta che metta d’accordo tutti non esisterà mai, perché troppe varianti possono spostare il giudizio in uno sport, il calcio, dove non sono mai esistite né mai esisteranno verità assolute.

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Chi è stato davvero Diego Maradona?

Certo è che difficilmente qualcuno potrà mai avere lo stesso impatto sul mondo del calcio (e non solo) di quello avuto da Diego Maradona, talento baciato dal Dio del calcio e diventato Dio a sua volta, un un percorso che dalla miseria di Villa Fiorito lo ha portato sul tetto del mondo, icona pop capace di uscire dalle dimensioni della propria disciplina fino a diventare un mito universale. Come Michael Jordan, come Mike Tyson, soltanto per fare alcuni esempi. Come Ayrton Senna.

Proprio con uno splendido documentario sul pilota brasiliano si era fatto conoscere al grande pubblico Asif Kapadia, che dopo aver raccontato anche Amy Winehouse ha deciso di provare a raccontare Diego Maradona avvalendosi di oltre 500 ore di filmati inediti che la stessa famiglia del Pibe gli ha messo a disposizione. Il risultato sono due ore prive di giudizi o facile retorica, immagini che sono come fotografie, a volte istantanee, di quello che è stato il Pibe de Oro nel suo momento di massimo splendore, coinciso con il periodo trascorso in Italia, a Napoli.

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In pochi minuti, infatti, Kapadia archivia la nascita del mito, le magie con l’Argentinos Juniors e il Boca, la traumatica esperienza al Barcellona, addirittura l’infanzia nella miseria di Villa Fiorito- ci torneremo soltanto con dei flashback – per proiettare lo spettatore direttamente al giorno dell’arrivo a Napoli. Una scelta comprensibile, che rende chiaro fin da subito che l’intenzione del regista non sia quella di realizzare un documentario sportivo ma più raccontare l’uomo dietro al mito.

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In questo senso la prima vera scena è davvero di grande impatto: Maradona arriva in macchina al San Paolo di Napoli per la presentazione ufficiale, è spaesato di fronte ai giornalisti che parlano della camorra e intimidito da uno stadio che urla il suo nome, da un popolo che sente di aver finalmente trovato un condottiero per sognare traguardi mai raggiunti prima. Un sentimento assolutamente ricambiato, perché lottando per chi da sempre si sente discriminato Diego diventerà ancora più grande di come sarebbe diventato in qualsiasi altro luogo al mondo.

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Quello che succederà dal 1984 al 1991 lo conosciamo tutti: il difficile impatto con il calcio italiano, i primi momenti di gloria, il Mondiale vinto nel 1986, gli Scudetti e la UEFA, le compagnie pericolose, una vita sempre più sregolata e un finale solitario e triste. Kapadia non ricorre a nessun trucco narrativo, sospende il giudizio e lascia parlare le immagini rendendo via via sempre più chiara l’intenzione di non raccontare Diego Maradona, bensì Diego E Maradona, le due personalità che convivono nel Dio del futbol.

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Un concetto che viene espresso per la prima volta da Fernando Signorini, suo storico personal trainer, che dopo la prima difficile stagione in Italia deve cercare di renderlo adatto alla Serie A senza sprecare una goccia di quel talento che già in Spagna il basco Goikoetxea aveva cercato di stroncare con un’entrata killer.

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C’era Diego, un ragazzo timido e con le sue insicurezze, e c’era Maradona, il personaggio che doveva interpretare per affrontare la pressione e che non poteva permettersi debolezze.

Diego mi disse “si, ma se non fosse per Maradona oggi sarei ancora a Villa Fiorito”.

“Diego Maradona”, ascesa e caduta del Pibe de Oro

Esclusa la parentesi iniziale, quella centrale dedicata ai Mondiali di Messico del 1986 e il finale, che in pochi minuti ci porta al 2004 e a una celebre intervista rilasciata alla televisione argentina, “Diego Maradona” si dedica esclusivamente al periodo trascorso a Napoli dal Pibe e al suo rapporto con la città e con i tifosi.

C’è Diego, appena arrivato e invitato all’inaugurazione di un bowling, quasi intimidito dalla folla che lo circonda, e c’è Maradona, Re di un popolo che lo consuma e allo stesso tempo gli permette di essere il migliore al mondo, apparentemente più forte di tutto. Fino a quando vizi ed eccessi non presentano inevitabilmente il conto, anche se pure in questo caso Kapadia si limita a mostrare, senza giudicare.

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Nel finale Daniel Arcucci afferma che “Maradona a Napoli è la storia della sua vita: ribelle, disonesto, eroe, Dio.” Difficile smentirlo dopo due ore di filmati che non possono lasciare indifferenti e che compongono un documentario evidentemente rivolto anche a un pubblico di non appassionati. Il calcio non può mancare, ma è sempre accessorio per raccontare Diego, l’uomo, l’impatto e l’impronta che ha lasciato in un mondo che non potrà mai dimenticarlo. Le luci e le ombre di una divinità allo stesso tempo fragile e immortale.

Quando sei in campo la vita sparisce. i problemi spariscono.

sparisce tutto.

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