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Dalkurd, la squadra dei rifugiati di guerra

Calcio EsteroDalkurd, la squadra dei rifugiati di guerra

Il Dalkurd sta dando la possibilità ad una “comunità immaginata” ormai pratica e viva di esistere nel nome di uno stato che stato non è. In Svezia, a duecento chilometri da Stoccolma, nove esuli curdi hanno fondato un club che riunisce i rifugiati di tutte le guerre internazionali, ma nel 2015 sarebbero potuti scomparire. 

Andreas Lubitz: 24 marzo 2015

È la mattina del 24 marzo 2015 a Barcellona e il volo di linea Germanwings 9525 si prepara a partire dall’aeroporto El Prat. Sono ormai le 9.01 e con ventisei minuti di ritardo, l’aerobus A320 incaricato del volo con destinazione Düsseldorf accende i motori e si libra in volo. 

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Esattamente trentasei minuti dopo, senza nessuna richiesta di soccorso, l’aereo inizia una discesa rapidissima che fa perdere in poco tempo quasi 17 mila piedi di altitudine. All’interno della cabina, sprangata e inaccessibile, il copilota Andreas Lubitz ha intrapreso un’azione suicida che porterà allo schianto dell’aereo grazie alla momentanea assenza del pilota, uscito per andare alla toilette. 

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Il volo si schianterà sulle Alpi francesi, all’altezza del villaggio Le Vernet, luogo ove successivamente verrà installato un memoriale per le 150 vittime della follia di Andreas Lubitz. Il Copilota, si scoprirà nel corso delle indagini, era affetto da una grave forma di depressione, con istinti suicidi non esattamente conciliabili con il lavoro di copilota in una compagnia come Lufthansa. 

Ma cosa centra tutto questo con il Dalkurd? 

Il Dalkurd e il volo di ritorno

Centra eccome, perché la squadra, oggi militante in seconda serie svedese (Superettan), sarebbe dovuta salire su quell’aereo per tornare da una trasferta in Spagna. La scelta di cambiare aereo fu dettata da evidenti casualità, ma, se il destino avesse voluto diversamente, ora la favola di una comunità immaginata in Svezia per il popolo curdo non esisterebbe. 

I problemi del Kurdistan 

Fondato nel 2004 dal curdo Kizil e da altri otto rifugiati del conflitto tra i guerriglieri Peshmerga del partito dei Lavoratori curdo e l’esercito di Ankara, il Dalkurd sta rappresentando una realtà importante nel calcio svedese per una nazione che non ha uno stato e che da tempo è ormai profuga del mondo senza possibilità di appello. 

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Il Kurdistan iracheno, altopiano nel nord della regione in cui è in corso una continua lotta per la sopravvivenza, non ha ricevuto il riconoscimento di stato nonostante dopo la Prima Guerra Mondiale, l’Inghilterra avesse promesso la formazione di uno stato per i Curdi.

La zona mediorientale fu smembrata fra Iran, Iraq e Siria, dando il là alla magmatica situazione che le due Guerre del Golfo e l’arrivo dell’Isis non hanno fatto altro che peggiorare. 

Per questo, sotto l’egida del capitano Peshraw Azizi, figlio di un combattente dei Peshmerga, la squadra rappresenta il centro di gravità del calcio curdo e non solo, dimostrando come uno sport possa dar vita a comunità nazionali e sovra nazionali, che vadano oltre il concetto di nazione come entità territorialmente identificabile. 

Cinque promozioni e Fifa 19

Sportivamente parlando il Dalkurd nel 2017, dopo una serie di cinque promozioni consecutive, conquista la Superettan, serie B svedese, imponendosi come una realtà nel calcio professionistico del nord Europa. Nel 2018 arriva secondo in campionato, ottenendo il pass per la Allsvenskan, massima serie del calcio svedese e, ironicamente, anche la presenza sul celebre videogioco Fifa 19. 

La rosa, composta inizialmente dai figli di rifugiati politici, si è allargata fino a comprendere due statunitensi, un giapponese, un originario della Sierra Leone, svedesi naturalizzati e tre giocatori di altissimo profilo: i nazionali kosovari Kujtim Bala e Leonard Pllana, e il nazionale palestinese Ahmed Awad. 

Insieme a loro, il centrocampista Rewez Lawan, già campione di Danimarca con il Nordsjaelland e campione di Norvegia con il Norrköping ha condotto il club nelle ultime stagioni, prima di salutare a inizio 2020 per trasferirsi al Vasalund. 

Una televisione mondiale per il Dalkurd 

Ma per diventare un fenomeno mondiale si ha bisogno del media adatto. E nel 2016 i fratelli Sarkat e Kaiwa Junad Izekani hanno fornito al loro nuovo acquisto proprio ciò di cui aveva bisogno. Dopo aver comprato il Dalkurd, i fratelli Izekani iniziarono a trasmettere le partite attraverso la loro emittente tematica, la VînTv (letteralmente AmoreTv), in tutta Europa diffondendo il verbo del Dalkurd che da quel momento è diventato un fenomeno di caratura globale. 

La storia e il calcio curdo  

La storia non è stata clemente con i Curdi, a cui è stato impedito di avere un proprio stato, nonostante le identità nazionali siano indelebili e fortemente radicate. La guerriglia, attiva dalla fine del primo conflitto globale, ha oggi nei Peshmerga il baluardo di un Kurdistan unito, nonostante le divisioni interne tra PDK e UPK i due partiti del nazionalismo Curdo, che contro lo stato islamico e le truppe Turche di Erdogan continuano gli scontri. 

Anche il calcio, quasi a candidarsi come metafora della storia di un paese, si inserisce in questa continua diaspora, con protagonisti progressivamente caduti in disgrazia e una gioventù florida in grado di ridestare le coscienze. 

Due gli esempi che, per non rischiare di cedere all’esagerazione, si possono fare: il primo risale al 2016, quando l’Amedspor – club curdo che milita nel campionato turco – elimina dalla coppa nazionale l’Istanbul Basaksehir, club molto vicino al presidente Erdogan. 

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Dopo quel match di gennaio, la polizia di stato irruppe nelle sedi del club con l’accusa di sostegno al terrorismo del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) attraverso un Tweet della società. 

Il club, con sede a Diyarbakır, milita oggi nella seconda serie turca e nelle sue fila, fino al 2018, ha visto Deniz Naki, attaccante tedesco con origini curde che nel 2013 ha iniziato la sua avventura con il club per sostenere la causa del Kurdistan. 

Nel gennaio 2018 l’attaccante subì un tentativo di attentato a scopo intimidatorio da cui riuscì a fuggire, mentre dopo l’invasione di Afrin (18 marzo 2018, operazione Ramoscello d’Ulivo) le sue dichiarazioni gli costarono tre anni e mezzo di squalifica, e conseguentemente la carriera. 

Comunità immaginata 

Il secondo esempio, questa volta di rigenerazione morale e di speranza proviene da Dortmund, e risponde al nome di Mahmoud Dahoud. Il centrocampista ventitreenne veste oggi la maglia del Borussia Dortmund e incanta nel ruolo di regista nel centrocampo giallo-nero. 

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Il suo talento, nato ad Amuda al confine tra Iraq e Siria, fuggì a soli dieci mesi dal regime di Hafiz al Assad, approdando in Germania ed esplodendo nelle giovanili del Moenchengladbach. Oggi rappresenta il Kurdistan nel mondo, come eccellenza di una nazione che non esiste, quanto meno sulle carte geografiche. 

Una dicotomica tensione tra ciò che fu (e che è tuttora) con la guerra e la mancanza di stabilità a caratterizzare la vita del popolo curdo, e ciò che potrà essere (e che in parte è) attraverso spotlight di speranza come Dahoud e il Dalkurd, eroiche bandiere che sventolano i colori del Kurdistan, comunità immaginata che in una squadra riconosce il proprio desiderio di casa.

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