La storia del cucchiaio, un gesto creato e consacrato in diverse edizioni degli Europei grazie al genio di Antonin Panenka e Francesco Totti.
Il calcio di rigore è quella dinamica di gioco in cui lo strapotere dell’attaccante si scontra con l’intelligenza del portiere. È un gioco di sguardi, di nervi, un duello all’ultimo sangue come quelli che dominano i film ambientati nel far west. Però la pistola ce l’ha solo chi calcia, mentre chi para può solo difendersi. Può provare a mettere pressione, a leggere le intenzioni del nemico, può lavorare d’arguzia.
Eppure, ci sono momenti in cui la situazione può capovolgersi. In cui chi ha la pistola in mano e deve sparare quel colpo decide di farlo in un modo diverso, beffardo e quasi irrisorio. Ci sono situazioni in cui all’attaccante non basta sfruttare il suo potere, ma vuole battere il portiere in furbizia, in quello che dovrebbe essere il punto forte del nemico.
È il caso del rigore a cucchiaio, o alla “Panenka”. Battuto con un colpo sotto dolcissimo e spietato, a beffare il portiere che ormai in volo può soltanto guardare quella palla che lentamente scavalca la linea di porta. La storia di questo tipo di rigori è legata strettamente a quella degli Europei, da una notte d’estate nella Jugoslavia di Tito a un pomeriggio di inizio millennio ad Amsterdam.
Euro 1976
La storia del rigore a cucchiaio nasce proprio in un’edizione degli Europei, quella del 1976. La nazione ospitante è la Jugoslavia, allora sotto il regime di Tito. In gioco ci sono, oltre al paese ospitante, Germania e Olanda, finaliste del mondiale di due anni prima, e la Cecoslovacchia, oggetto misterioso del torneo.
Le due semifinali regalano subito una sorpresa: la Cecoslovacchia elimina a sorpresa l’Olanda di Cruijff, vincendo 3-1 ai supplementari dopo l’1-1 dei 90 minuti. La Germania invece come da pronostico si libera della Jugoslavia anche se con qualche brivido. I tedeschi vanno infatti sotto di due reti, ma rimontano e dopo i supplementari s’impongono 4-2 sulla Jugoslavia con una strepitosa tripletta di Dieter Müller.
In finale dunque il confronto sarà tra Germania Ovest e Cecoslovacchia. Da una parte i campioni del mondo, una selezione fortissima piena di grandi individualità come appunto Müller, Uli Hoeness e Franz Beckenbauer. Dall’altra invece una squadra sconosciuta, il cui campionato era avvolto dal mistero al di là della cortina di ferro e i cui giocatori non erano noti al mondo occidentale.
Un confronto che sembra doversi risolvere in una direzione annunciata, ma che regalerà invece grandissime emozioni.
Euro 1976, la finale
Il 20 giugno 1976 a Belgrado si gioca la finalissima. Considerando che le tre precedenti partite di quell’Europeo erano terminate tutte ai supplementari, le due selezioni prima del match si accordano per terminare ai rigori il confronto in caso di parità al termine dei 120 minuti. Una novità epocale, visto che fino a quel momento la finale era soggetta a ripetizione in casi del genere.
Un presagio che poi effettivamente si realizza: il match finisce davvero in pareggio. La Cecoslovacchia trova un incredibile doppio vantaggio dopo 25 minuti, la Germania accorcia subito e poi pareggia con Hölzenbein a dieci minuti dalla fine. Durante i supplementari il risultato non si sblocca dal 2-2 e quindi, per la prima volta nella storia degli Europei, il trofeo sarà assegnato con i calci di rigore.
Le due squadre realizzano i primi tre rigori delle proprie serie, poi la Cecoslovacchia segna ancora, ma Uli Hoeness calcia la sfera fuori, talmente in alto che Beckenbauer dirà poi che quel pallone ancora sta girando per le strade di Belgrado. A quel punto la Cecoslovacchia ha un incredibile match-point, dal dischetto va Antonin Panenka, che ha l’occasione di scrivere la storia del proprio paese.
Il rigore alla Panenka
“Se l’avessi sbagliato, mi avrebbero spedito a lavorare in fabbrica per molti anni”.
Antonin Panenka ha una responsabilità incredibile, ma si presenta con serenità sul dischetto. Prende una poderosa rincorsa, parte e poco prima di impattare il pallone rallenta, per colpire la sfera con un tocco dolcissimo che beffa il portiere tedesco Sepp Maier, ormai in volo.
Quel rigore manda in visibilio il pubblico occidentale, che mai aveva assistito a un gesto tecnico del genere. In realtà per Panenka non era una novità: in allenamento spesso si allenava con questa soluzione, messa in mostra anche in alcune partite di campionato del suo Bohemians. Una cosa che però in Germania non potevano sapere, con la cortina di ferro a difendere la trovata del giocatore slavo dal mondo occidentale.
“Dopo gli allenamenti ero solito trattenermi con il nostro portiere per battere qualche calcio di rigore. Ci giocavamo una cioccolata o una birra. Era un portiere molto bravo e spesso perdevo. Così, a volte, prima di addormentarmi, pensavo a un modo per batterlo e rifarmi. Pensai che se avessi ritardato la battuta eseguendo un pallonetto, il portiere si sarebbe tuffato non avendo il tempo di recuperare la posizione. Iniziai così a tradurre questa intuizione anche nella pratica. Presi a vincere le scommesse”.
La nascita del cucchiaio
Il rigore alla Panenka dopo quell’exploit finisce del dimenticatoio per qualche tempo, prima di essere rispolverato ancora una volta in un match dei campionati europei. È il 29 giugno 2000, ad Amsterdam si sfidano Italia e Olanda per raggiungere un posto in finale contro la Francia campione del mondo.
Il match rimane sul filo dell’equilibrio per tutti i tempi regolamentari e anche per quelli supplementari, senza che nessuna delle due squadre riesca a sbloccare il risultato. Si va dunque ai rigori. Gli azzurri partono benissimo con due gol su due, gli olandesi falliscono entrambi i tiri da dischetto. L’Italia ha un grande vantaggio, da non sperperare, dopo gli errori di de Boer e Stam e, sul pallone, si appresta ad andare Francesco Totti.
“Mo je faccio er cucchiaio”
Dopo aver pronunciato queste parole Francesco Totti va sul dischetto e, come Panenka 24 anni prima, beffa l’enorme portiere della Juventus con un tocco dolcissimo che fa esplodere il pubblico. Quel gesto tecnico che aveva illuminato la notte di Belgrado torna a deliziare la platea olandese, in versione aggiornata.
L’eredità del cucchiaio
Il “rigore alla Panenka” diventa il “cucchiaio”, e da quel momento si configura come un’arma sempre più utilizzata dagli attaccanti. Proprio la leggenda giallorossa fa di quel colpo il suo marchio di fabbrica, che sia su rigore o su azione poco importa.
Il cucchiaio pian piano s’instaura nell’immaginario calcistico collettivo, diventa un gesto di uso comune, visibile in ogni contesto, ma mantiene vivissimo il suo legame speciale con gli Europei. Dodici anni dopo quel rigore di Totti, un altro azzurro si rende protagonista di un cucchiaio indimenticabile: Andrea Pirlo.
Il quarto di finale di Euro 2012 tra italia e Inghilterra termina 0-0. Ai rigori gli azzurri vanno sotto con l’errore di Montolivo, a quel punto Andrea Pirlo deve segnare assolutamente per non far precipitare la situazione. Dal dischetto il centrocampista non sbaglia, trafiggendo Joe Hart proprio con un cucchiaio. Dopo di che, gli errori di Young e Cole regalano la semifinale all’Italia.
Da Panenka a Totti e Pirlo, la storia degli europei è anche quella che ha consacrato il cucchiaio. Quel gesto tecnico che esalta lo strapotere dell’attaccante, che non spara con la sua potenza di fuoco, ma con una dolcezza terribile e irrisoria. Una prodezza che da Belgrado ad Amsterdam ha illuminato le grandi notti europee.
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