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Serie A, Chiellini e le 18 squadre: il dato che fa riflettere

Serie ASerie A, Chiellini e le 18 squadre: il dato che fa riflettere

Il difensore della Juventus Chiellini rivorrebbe la Serie A a 18 squadre perché 20 sono troppe: ripercorriamo il periodo della massima serie a 18 squadre, scoprendo numeri davvero interessanti

La Serie A ha troppe squadre. Un tema attuale certo, ma anche ormai una frase fatta al pari più o meno di “piove, governo ladro” e “non ci sono più le mezze stagioni”. Un argomento che ciclicamente torna in ballo, non sempre con il necessario corredo di argomentazioni. Stavolta a tirarlo fuori ci ha pensato il difensore della Juventus e della Nazionale Giorgio Chiellini che, interrogato sul futuro del calcio, ha difeso la Superlega – e ci mancherebbe altro, avendo Agnelli come presidente – e auspicato una Serie A come minimo a 18 squadre.

 

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La motivazione data dal centrale bianconero è la presenza nell’attuale massimo campionato italiano di squadre che definisce “di troppo”. Si tratta ovviamente dei club che retrocedono con grande anticipo, dimostrando così la propria inadeguatezza rispetto alla categoria di riferimento e abbassandone il livello. Dato che Chiellini auspica il ritorno ad una Serie A a 18 squadre, evidentemente pensa che con questo numero di club le retrocesse verrebbero sempre decise nelle ultime giornate. Ma sarebbe davvero così?

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Serie A 1988-2004: quando le squadre “di troppo” andavano bene

Per formulare delle ipotesi con un minimo di fondatezza occorre rifarsi all’ultimo periodo in cui la Serie A è stata a 18 squadre, ovvero dalla stagione 1988/89 a quella 2003/04. Un periodo indubbiamente molto positivo per il calcio italiano, nel quale l Serie A ha conquistato vittorie in serie per quanto riguarda le competizioni europee (talvolta piazzando due squadre in finale).

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Se da una parte non si può negare la qualità di quei campionati, dall’altra bisogna osservarne le classifiche con obiettività. In quei 16 campionati, infatti, quasi sempre c’era almeno una squadra che retrocedeva con larghissimo anticipo dimostrandosi quindi inadeguata per affrontare la categoria e non contribuendo certo ad aumentare il livello della competizione.

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Prendendo come primo esempio la Serie A 1990/91, vinta splendidamente dalla Sampdoria di Vialli e Mancini, due delle quattro retrocesse ovvero Cesena e Bologna sono retrocesse con largo anticipo raccogliendo rispettivamente 19 e 18 punti. Va ricordato che all’epoca la vittoria vale va 2 punti, ma rimangono comunque due retrocessioni molto anticipate.

Possiamo proseguire con l’Ascoli edizione 1991/92 (14 punti), l’Ancona e il Pescara edizione 1992/93 (19 e 17 punti) e il Lecce edizione 1993/94 (11 punti). Con l’assegnazione di 3 punti a vittoria, le cose non sono di certo migliorate. Nel primo campionato di questa nuova era calcistica, infatti, Reggiana e Brescia sono retrocesse quasi con un girone d’anticipo raccogliendo la miseria di 18 e 12 punti.

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Il trend non cambia nelle annate successive, con squadre che abdicano con eccessivo anticipo dando vita certamente ad incontri non entusiasmanti. Tra i casi più clamorosi degli ultimi campionati a 18 squadre ci sono il Napoli edizione 1997/98 (14 punti) e soprattutto l’Ancona edizione 2003/04 (13 punti).

 

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La Serie A a 18 squadre: non la soluzione a tutti i problemi

Cosa ci insegnano tutti questi numeri: che anche quelle squadre erano di troppo all’epoca avrebbero dovuto ridurre a 16 squadre? Che all’epoca andava bene così perché il calcio romantico non può essere discusso? Che le squadre retrocesse in quel periodo stavano più simpatiche a chi oggi si riempie la bocca con la nenia delle “squadre di troppo”? Ognuno ha la sua opinione in tal senso.

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Certamente i dati di fatto sono due. Il primo è che, anche se veramente la Serie A tornasse a 18 squadre, tale scelta non basterebbe da sola per migliorare il sistema calcistico italiano. Il secondo è che, con la Serie A a 16, 18, 20 o 40 squadre, comunque ci saranno squadre che avranno meritato sul campo – fino a prova contraria – di prendervi parte. Che siano espressioni di grandi città o piccole realtà di quartiere.

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