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Bruno Fernandes è stato davvero un rimpianto per la Serie A?

Calcio EsteroBruno Fernandes è stato davvero un rimpianto per la Serie A?

Bruno Fernandes lasciava l’Italia oltre tre anni fa senza troppo clamore, e oggi è uno dei calciatori più forti al mondo. Come ha fatto la Serie A a lasciarsi sfuggire così un giocatore che attualmente vale 80 milioni?

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Troppo leggero, incostante, poco incisivo nelle partite: erano queste le cose che si dicevano di Bruno Fernandes, in Italia, fino a qualche anno fa. Oggi, nell’anno 2020, c’è un Bruno Fernandes che gioca al Manchester United, segna e trascina la squadra in Premier e Champions League – e che è praticamente l’unica cosa sempre buona dei Red Devils – e che vale 80 milioni di euro. Sì, stiamo parlando dello stesso Bruno Fernandes.

Cosa è successo esattamente in quelle due stagioni e mezza che il portoghese ha trascorso allo Sporting Lisbona, che gli hanno permesso di affermarsi come uno dei più forti giocatori al mondo? L’Italia lo ha sottovalutato, o è stato proprio lui a trasformarsi?

BRUNO FERNANDES SI È PRESO IL MANCHESTER UNITED

Dalla Serie A alla Premier League

Nell’estate del 2017, Bruno Fernandes lasciava la Sampdoria, la sua terza squadra italiana, per tornare a casa in Portogallo: lo Sporting lo pagò 9 milioni, una cifra che qui sembrava quasi esagerata. Quando, nemmeno tre anni dopo, il Manchester United ne sborsò 55 fissi più 25 legati ai bonus, sull’Ultimo Uomo Emanuele Atturo ricordava come lo stesso sito descrivesse Bruno Fernandes ai tempi della Serie A, mettendone in luce le “prestazioni da 5,5”, le “corse generose e i tiri pretenziosi”, i “dribbling stentati e cross sbagliati”.

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Il suo passaggio allo Sporting segnava la fine di un’avventura italiana poco soddisfacente, passata in club di secondo piano, e per certi versi un fallimento: nel momento d’oro del calcio portoghese, Bruno Fernandes era forse l’unico talento lusitano che se ne tornava a casa in cerca di fortuna, invece di compiere il percorso inverso.

Eppure, è evidente oggi che ci si era tutti sbagliati, e di grosso. Ci si era lasciati confondere da alcuni parametri che, di solito, sono sufficienti a identificare un potenziale campione rispetto a un giocatore mediocre: lo stile di corsa, il primo controllo, il modo di calciare, i dettagli della tecnica individuale. Tutte cose in cui, anche a occhi esperti, Bruno Fernandes non sembrava eccellere particolarmente. Eppure, il suo rappresenta un rarissimo caso in cui il tutto è molto più della somma delle parti.

La sua tecnica e il suo atletismo sono infatti affinati quanto basta per supportare un tipo di gioco che ha pochi eguali al mondo, perché oggi (cioè, già da un paio d’anni almeno) nessuno riesce a essere decisivo come Bruno Fernandes, pur giocando praticamente in qualsiasi ruolo del fronte offensivo.

Corre, segna e fa segnare (tantissimo: è uno dei calciatori più prolifici al mondo; in 35 partite con lo United è già a 21 reti e 13 assist), ma soprattutto ha un’innata capacità, tattica e carismatica, di accentrare su di sé il gioco della squadra, come fosse una calamita, o il corrispettivo calcistico del tanto sospirato centro di gravità permanente che cercava Battiato.

Una carriera sfortunata

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Quando guardiamo al passato di Bruno Fernandes, e ripensiamo a come è stato sottovalutato, dobbiamo considerare un fatto: si tratta di un calciatore estremamente sfortunato nelle sue scelte di carriera. Da ragazzino, sfuggì – per quelle doti controintuitive di cui sopra – all’occhi dei principali vivai portoghesi, e finì nei ragazzi del Boavista, che all’epoca era una squadra in forte ascesa. Poi arrivò uno scandalo di corruzione, e il club fu retrocesso in seconda divisione, entrando in crisi e precipitando fino alla terza.

A quel punto, Bruno Fernandes capì che, se voleva avere una chance, doveva cambiare aria: 17 anni e Serie B portoghese erano elementi che remavano contro di lui; solo il Novara se ne interessò, e lui accettò il trasferimento in Italia per giocare in Serie A.

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Ma proprio mentre si spostava in Piemonte, il Novara retrocedeva in B e l’anno dopo, nonostante le sue prestazioni cambiarono completamente il volto della squadra, la promozione fallì. Passò allora all’Udinese, ma anche i friulani stavano vivendo una fase calante, dopo i fasti degli anni passati, e l’attacco era monopolizzato da giocatori come Di Natale e Muriel. Tre buone stagioni e il passaggio alla Sampdoria, in un altro contesto non all’altezza del suo talento, dove per giunta i riflettori erano tutti per Schick.

Stessa storia allo Sporting, club che da tempo stava vivendo delle difficoltà, rimasto senza vincere il campionato dal 2002. Bruno Fernandes, qui, è esploso, è diventato il trascinatore della squadra iniziando a brillare anche in Europa League, e migliorando le sue doti da realizzatore. In mezzo, c’è però stato il fattaccio del maggio 2018, quando un gruppo di tifosi incappucciati aggredì i giocatori nel centro d’allenamento del club: le stelle della squadra se ne andarono, spinte dai loro procuratori, mentre Bruno Fernandes non ci riuscì e rimase bloccato nella crisi dello Sporting fino al gennaio 2020, quando passò a un’altra crisi, quella del Manchester United.

L’affermazione di Bruno Fernandes

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La sua storia è quella di un uomo giusto nel posto sbagliato, ma gli ha anche permesso di crescere a livello caratteriale e tecnico: per conquistarsi le sue chance, Bruno Fernandes ha dovuto imparare a ricoprire più ruoli, a essere un giocatore più completo, a giocare in maniera determinante a prescindre dal contesto. È diventato l’occhio del ciclone: in squadre caotiche e senza capo né coda, lui è il baricentro tattico e mentale, sempre calmo ed equilibrato.

La cosa più straordinaria è che, nonostante questo, non si tratta di un solista. Anzi, sono stati proprio i suoi anni italiani a vederlo passare da giocatore che cercava ostinatamente l’azione personale per emergere sugli altri, al centrocampista offensivo di oggi, capace di segnare tantissimo come di recuperare palloni o servire assist ai compagni. L’attitudine da leader totalizzante la si è vista anche nel match di ieri sera contro il Basaksehir quando, da rigorista designato, avrebbe potuto fare tripletta, e invece ha preferito cedere il tiro dal dischetto a Rashford.

Tutto questo era prevedibile ai tempi della Serie A? No, probabilmente no, non tutto. I club italiani chiaramente non sono stati in grado di notare le qualità fuori dal comune di Bruno Fernandes, sotto a una superficie ancora grezza, ma lo stesso vale per le Tres Grandes portoghesi, che se lo persero del tutto quand’era adolescente. E proprio attraverso gli errori, le critiche e le sottovalutazioni, è diventato il giocatore che è oggi.

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