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Brasile 2014, gli stadi del Mondiale in disfacimento

In Primo PianoBrasile 2014, gli stadi del Mondiale in disfacimento

Giganti in mezzo al deserto – o alla foresta Amazzonica: questo sono diventati gli stadi del mondiale in Brasile di sei anni fa, un vero e proprio scempio di investimenti internazionali che oggi si reggono su feste private, matrimoni e scampoli di tifosi delle serie più infime. 

Il Background di Brasile 2014: la costruzione degli stadi

Ricordate i problemi sorti alle porte della Confederations Cup del 2013 a causa dello stato di avanzamento dei lavori degli stadi del mondiale brasiliano? Se torniamo indietro nel tempo ricordiamo anche che a pochi mesi dal via della competizione, in Brasile la maggior parte delle strutture era ancora molto indietro, annoverando tra i propri primati anche la morte di alcuni operatori – quattro per la precisione. 

“Tutte le famiglie degli operai hanno l’assicurazione e sanno a cosa vanno incontro. Per i Mondiali in Qatar ne sono morti a centinaia.” 

Queste le parole di Miguel Capobiango Neto, coordinatore dell’Unità di Gestione della Coppa del Mondo di Manaus che dopo la fine della competizione si è espresso così sulle problematiche legate alla costruzione degli impianti di Manaus e Cuiaba nell’entroterra del Brasile. 

Dodici stadi in totale, di cui otto caduti nel dimenticatoio nel corso degli anni trascorsi dal triplice fischio che incoronò la Germania di Gotze campione del mondo, costruiti da zero (sei) o ristrutturati per accogliere le folle oceaniche di un mondiale che al suo termine, ha inequivocabilmente portato alla luce tutti i problemi della nazione. 

Proteste in Brasile

Proprio durante la sconfitta del Brasile contro la Germania a Belo Horizonte al centro del Minerão, la folla inferocita esponeva le proprie remore per uno spreco di denaro pubblico e privato che avrebbe giovato al Brasile in ben altro modo. Se i problemi della nazione carioca erano da riscontrarsi nelle infrastrutture private, nelle strade, nell’istruzione e nelle abitazioni pubbliche, ecco che gli investimenti per il Mondiale (2 miliardi e 632 milioni!) vengono di colpo gettati nel fuoco della rabbia contro i funzionari pubblici.

Se partiamo dai due stadi di più complessa gestione, Arena Amazonia a Manaus e Arena Pantanal a Cuiaba, riportiamo le parole del chief delle tribù locali Sateré-Mawé  al Guardian proprio nel corso delle lavorazioni (2014): 

“Per la comunità indigena e gli abitanti delle favelas è difficile vedere così tanti soldi spesi negli stadi, quando c’è una così grande presenza di fame e povertà, sopratutto visto che quei soldi non dovevano essere spesi. Sento come se la FIFA e il Brasile abbiano rubato la nostra cultura – tutti noi delle tribù sentiamo questo. Se vogliono usare il nostro immaginario, beh devono includerci. Loro sanno che amiamo il calcio, ma così facendo ci hanno insultato. Io biasimo il governo più che la FIFA, perché loro sono brasiliani e avrebbero dovuto tutelarci. Invece, hanno voltato le spalle alla loro gente.”

Uno scontro ideologico che affonda le radici nella complessa situazione economica del Brasile e che allunga i propri tentacoli fino ai giorni nostri, quando cattedrali sportive tanto imponenti sono ora chiese vuote alla ricerca di inquilini. 

Cuiaba e i senza tetto

Proprio a Cuiaba, nel cuore dell’entroterra brasiliano, il 2015 ha visto lo stadio chiudere a causa di una perdita nel tetto dovuta alla mancanza di manutenzione: il Green Goal della Fifa (reinvestire il 10% del costo dello stadio nella sua manutenzione negli anni successivi) è ovviamente insostenibile per club come il Cuiaba Football, fondato nel 2001 e chiuso tra il 2006 e il 2009 a causa di difficoltà finanziarie. 

CORONAVIRUS: L’IMPATTO SUL CALCIOMERCATO

Lo stadio costò 173 milioni di euro, e secondo Braitnar Moreira del Correiro Brasiliense la squadra di casa portò nel 2016 solamente 381 persone allo stadio.  Oggi sembra sia casa di numerosi senzatetto, privo com’è di un piano di utilizzo. Numeri esigui e situazioni contingenti, che non giustificano la costruzione dello stadio casa dell’Hat Trick di James Rodriguez contro il Giappone. 

Lo stadio della foresta amazzonica: Arena Amazonia

A Manaus, città industriale nel cuore della foresta Amazzonica, non si può giungere attraverso la rete autostradale. I trasporti sono assicurati dal Ponte Rio Negro che cavalca le onde del Rio Negro affluente del Rio delle Amazzoni e da due super strade che collegano la regione del nord al Venezuela. 

Una situazione in cui la costruzione di uno stadio delle dimensioni dell’Arena Amazonica (42 mila posti, 200 milioni di spesa a fronte di un preventivo di 120) non aveva cognizione di causa anche per l’esistenza del Nacional, club di serie D del campionato regionale, impossibilitato a sostenere i costi di mantenimento dell’impianto. 

Qui Super Mario Balotelli superò Hart con un gran colpo di testa, prima di vedere la nazionale azzurra uscire indecorosamente dalla manifestazione: un luogo di complesso sviluppo, per il quale lo già citato Capobiango Neto ha dovuto smentire la riconversione in prigione detentiva negli anni successivi alla fine del Mondiale. 

Recife e Natal: gli stadi da matrimonio 

“Tutto dipenderà dalla creatività e dalla fantasia dei proprietari.”

José Maria Marin, presidente della CBF 2007

Lo scandalo reale si è poi presentato a Recife e a Natal, dove negli ultimi anni si è visto l’utilizzo delle Arene Pernanbuco (Recife) e Das Dunas (Natal) come location per matrimoni, meeting aziendali, convegni e feste private. Certo, il numero uno della CBF del 2007 José Maria Marin aveva fatto appello alla creatività e alla fantasia dei proprietari per il futuro degli stadi in Brasile, ma questo sembra troppo. 

STIAMO SOPRAVVALUTANDO L’ITALIA DI MANCINI?

A Recife, il Nautico e lo Sport Club avrebbero anche avuto la forza economica di gestire un impianto da 44 mila posti, ma i quaranta minuti di autostrada necessari per raggiungere l’impianto hanno fatto sì che i tifosi chiedessero a gran voce il ritorno al vecchio stadio, quel Estadio Aflitos che venne pian piano abbandonato seguendo la discesa del Nautico in Serie C.

A Natal, l’Arena Das Dunas ha incorniciato il morso di Suarez a Chiellini, così come la zanna profonda delle tangenti e della corruzione ha affondato il colpo sulla disoccupazione successiva alla fine del mondiale: + 100% di disoccupati nei tre anni dopo il mondiale, e abbassamento del Pil del 30% in un anno (2014-2015). 

Mineirazo: lo stadio della disfatta del Brasile

8 luglio 2014: il Brasile, privo di Neymar e Thiago Silva, si appresta ad affrontare la Germania di Gotze, Müller e Joachim Low nella torrida Belo Horizonte. Il Mineirão, casa che l’Atletico Mineiro mai riuscirà a mantenere a causa delle difficoltà economiche del club, è costato 190 milioni di euro e vede 64 mila persone assiepate sugli spalti in attesa di vedere il Brasile scendere in campo. 

É una mattanza: 1-7 di proporzioni epiche che riporta alla mente il Maracanazo del 1950, facendo uscire di scena il Brasile fino a quel momento in corsa per il titolo casalingo, e dando il via alle proteste extra campo dovute alla corruzione, alle tangenti e allo spreco di soldi privati e pubblici per una manifestazione che farà più male che bene ai brasiliani. 

A Belo Horizonte il Mineirão è in disuso: l’Atletico Mineiro si è spostato all’Estadio Independencia di 20 mila posti per riuscire a mantenerlo nel modo migliore, e quello che fu il teatro della disfatta verdeoro è oggi bloccato in attesa di tempi migliori. 

Congelato nel tempo: Maracanã

Inaugurato nel 1950 e ristrutturato in occasione del mondiale casalingo, il Maracanã soffre di un congelamento temporale da quando Leo Messi ha appoggiato il volto sul suo perfetto manto erboso dopo la sconfitta in finale contro i tedeschi. 

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L’eredità dei grandi eventi sportivi. [Reading time: 1 Minuto e 30 secondi] L’organizzazione di un grande evento sportivo offre incredibili potenzialità. Ma quali sono i rischi per il Paese che decide di ospitare, per esempio, un’#Olimpiade o un #Mondiale di calcio? Uno di essi è sicuramente il cosiddetto fenomeno dei “white elephants”. Con questo termine si intende la realizzazione di gigantesche infrastrutture, come #stadi o villaggi olimpici, costruiti o ristrutturati appositamente per un evento sportivo internazionale, ma che al termine del quale finiscono in disuso e in stato d’abbandono. Una volta terminata la manifestazione infatti, il riutilizzo di queste strutture diventa del tutto impossibile, perchè esclusivamente pensate per rispettare i grandi numeri dell’evento. #Atene2004, #Pechino2008, il Mondiale di calcio in #Sudafrica nel 2010, #Rio2016 sono solo alcuni esempi degli ultimi vent’anni. Anche se il caso più negativo è rappresentato dai Mondiali di #Brasile2014: 12 stadi costrutiti o ristrutturati per una spesa complessiva superiore a 3 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali caduti in rovina l’anno successivo. Su tutti si ricordano l’Arena Amazonia – Manaus da 45mila posti costruita ex-novo nel mezzo della Foresta amazzonica e lo Stadio Maracanà, simbolo del calcio brasiliano, solo negli scorsi mesi salvato da uno stato di abbandono che durava dalla finale del 2014. Una possibile soluzione a questo fenomeno è stata proposta per i Mondiali in Qatar, prevedendo degli stadi “componibili” che possano essere disassemblati al termine della manifestazione e spostati in altre destinazioni. E voi cosa ne pensate? L’organizzazione delle Olimpiadi Invernali di Milano e Cortina 2026 riuscirà ad essere così lungimirante da inserire la costruzione e la ristrutturazione delle infrastrutture necessarie all’interno di un piano di sviluppo territoriale anche al termine della manifestazione? #diccilatua nei commenti Autore: #SFAndreaLT

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Dopo la fine delle ostilità, le dispute governative e olimpiche sulla gestione dello stadio si sono fatte sempre più aspre, questo anche a causa della difficoltà di Fluminense e Flamengo nel gestire un impianto di tali dimensioni. Dopo le Olimpiadi del 2016 invece, il Re degli stadi è come congelato da un incantesimo burocratico e dai costi di gestione. 

Ruben Lopez, presidente della Football Federation di Rio si espresse così’ al termine dei mondiali: 

“Per il calcio e per le persone di Rio, la Coppa del Mondo fu la cosa peggiore che potesse capitare.”

Crisi Corinthians

Il club della “Democratia Corinthiana” dei tempi di Socrates, si è ritrovato dopo il Mondiale con un vero e proprio gigante da gestire: l’Arena Corinthians, 350 milioni, costa al club la bellezza di un milione al mese, riuscendo a incassare a malapena 300 mila dollari per ogni incontro casalingo. 

Un peso eccessivo, che Lucío Blanco, dirigente del club, ha evidenziato parlando della difficoltà di trovare un impiego all’Arena nei restanti 320 giorni dell’anno. 

IMMOBILE E GLI ALTRI ATTACCANTI CHE HANNO FATICATO IN NAZIONALE

A questo proposito ci viene in aiuto il World Index Stadium, creato dal Danish Institute for Sports Studies che analizza settantacinque stadi costruiti per i più grandi eventi sportivi dislocati in venti paesi, classificandoli in base all’utilizzo nel corso dell’anno relativamente alla capienza ufficiale. 

Nei primi quattro posti di peggior gestibilità di un impianto troviamo quattro stadi brasiliani: quello di Brasilia, di cui parleremo tra poco, quello di Natal, e i due dell’entroterra Cuiaba e Manaus, per un totale di 820 milioni spesi per la loro costruzione o ristrutturazione. 

Il Corinthians cerca dunque di mantenere in piedi l’impianto, riaprendo al pubblico (20.000 persone) nel settembre scorso dopo che l’epidemia di Covid-19 aveva spento le candeline del calcio brasiliano per molto tempo. In un paese dove i casi totali si attestano ad oggi sui 5,1 milioni, la riapertura senza misure idonee sembra un’utopia impercorribile, se ne vedranno gli effetti nel corso delle prossime settimane. 

Lo stadio più costoso del mondo: Estadio Nacional di Brasilia

Ultimo stadio della nostra querelle brasiliana è l’Estadio Nacional di Brasilia, il più costoso del mondo, superato solo recentemente da Wembley. 570 milioni e 72 mila posti, corredati dalla certificazione Leed Platinum per gli impianti di nuova generazione a impatto zero le cui emissioni di Co2 sono ridotte del 50% e l’elettricità è – quando necessaria – prodotta da pannelli fotovoltaici installati sul tetto della struttura: questo lo stadio di nuova generazione che per due anni è stato adibito a deposito per autobus nella capitale brasiliana. 

Oggi, a sei anni dallo scoppio della bolla mondiale, l’idea è di trasformare l’impianto in un non-sportivo, così da utilizzarlo per più tempo nel corso dell’anno e togliere l’onere alle società dilettantistiche della capitale di cercare di mantenere uno stadio simbolo del Brasile attuale: uno splendido ossimoro tra società povera e istituzioni opulente. 

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