venerdì, Marzo 29, 2024

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Alberto Spencer, ‘cabeza mágica’ d’Ecuador

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Nato in Ecuador da padre giamaicano, ha dominato in Uruguay ed è il bomber storico della Libertadores: alla scoperta di Alberto Spencer

È scomparso 14 anni fa, oggi avrebbe 83 anni e il suo ricordo, nonostante ci abbia lasciati da un po’, riecheggia trasversalmente per tutto il continente sudamericano. Alberto Spencer è stato uno dei calciatori più rappresentativi del Sudamerica: ecuadoriano di nascita, uruguayano d’adozione, centravanti d’area di rigore in grado di segnare in tutte le maniere possibili. Ha legato a doppio filo il proprio nome al Peñarol, entrando perfettamente in simbiosi con il tifo e l’ambiente carbonero.

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Spencer, negli anni Sessanta, ha riscritto i canoni dell’attaccante. Con il Peñarol ha vinto tutto ciò che si poteva vincere, aiutando il Manya a mettere la bellezza di tredici titoli in bacheca. E, ancora oggi, detiene il record di gol segnati in Copa Libertadores, competizione nella quale comanda la classifica all time dei capocannonieri davanti a mostri sacri del calibro di Pelé e Teofilo Cubillas.

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Alberto Spencer, patrimonio del calcio mondiale

La figura di Alberto Spencer è sempre stata abbastanza romanzata grazie, in effetti, a origini che ricalcano i perfetti canoni standard sudamericani. Figlio di un diplomatico giamaicano con origini britanniche, Spencer è nato ad Ancon, cittadina che si affaccia sul canale di Panama, ma è cresciuto umanamente e calcisticamente a Guayaquil, dove il padre si è insediato una volta sposata quella che poi sarà la mamma del ragazzo. Il calcio è sin da subito una delle sue prerogative.

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Colpa, o forse sarebbe meglio dire merito, del fratello Marcos, che sin da piccolo se lo porta dietro per giocare qualcuna di quelle classiche partite in strada, dove chi vince non solo ha più possibilità di farsi notare, ma soprattutto ottiene rispetto. Il talento, seppure grezzo, c’è. Così il padre lo manda a giocare in un piccolo club, il Los Andes, dove Spencer si sgrezza conquistandosi la chiamata dell’Everest, una delle squadre di seconda fascia la cui sede è situata nel cuore della metropoli ecuadoriana.

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Alberto Spencer ha talento. Questo lo hanno appurato all’Everest, nel quale ha esordito giovanissimo, e anche al Barcelona, il gigante di Guayaquil, che fa di tutto per strapparlo ai concittadini senza mai riuscirci. Agli azulgrana viene fatta una sola concessione: se lo volete per qualche amichevole ve lo diamo. Voi ve lo godete, non lo mettiamo in vetrina: l’accordo è più o meno questo e, proprio grazie alla collaborazione tra i due club, Spencer attira le attenzioni del Peñarol.

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I primi anni Sessanta sono duri per la federazione locale, costretta a incassare la scissione interna e un campionato diviso in due micro-tornei. Durante una manifestazione organizzata per l’inaugurazione dell’Estadio Modelo il Peñarol, che partecipa al torneo, lo nota e decide di accaparrarselo anticipando la concorrenza. Spencer ha quasi 23 anni e porta in dote con sé 101 segnati in 70 partite. Cifre che impressionano tutti: il Carbonero, alle prese con una rifondazione profonda, fa all in proprio su di lui.

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Un bomber indimenticabile

Il resto passa automaticamente alla storia. Alberto Spencer segna tanto, talmente tanto che i dirigenti della federazione uruguayana quasi si inginocchiano per fargli accettare la convocazione nella Celeste. Lui, dopo i primi tentennamenti, dice di sì, spianando la strada a quello che sarà uno dei successi storici per l’Uruguay, la vittoria di Wembley contro i ‘padri’ inglesi, proprio grazie a una rete di Spencer. Il Peñarol, club nel quale Spencer spenderà un’intera carriera, diventerà una delle squadre più forti del mondo.

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Undici anni, corredati da vittorie senza soluzione di continuità. Le più importanti? Sicuramente il tris in Libertadores tra il 1960 e il 1966, ma anche i due successi nella Coppa Intercontinentale, ottenuti contro Benfica e Real Madrid. Nel primo caso Spencer si ‘limita’ a segnare una doppietta nel ritorno giocato a Montevideo; nel secondo, invece, segna due reti al Centenario e poi devasta al Bernabeu un incredulo Real Madrid. In carriera, i gol stimati di Alberto Spencer saranno circa 451.

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Gli ultimi anni e la vita dopo il campo

Alberto Spencer era un attaccante forte fisicamente, soprannominato ‘cabeza mágica’ per la sua efficacia nel gioco aereo, tecnico e caratterialmente un leader. Negli anni in cui vinse tutto con la maglia del Peñarol, si narra fosse stato cercato anche dall’Inter, declinando la proposta in quanto, gli ultimi anni della carriera, li avrebbe voluti passare nel ‘suo’ Barcelona. Ci tornò giusto per appendere gli scarpini al chiodo e poi, qualche anno dopo, per commuoversi nel giorno in cui gli fu intitolato l’Estadio Modelo, quello in cui cominciò la magia.

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Il richiamo di Montevideo, però, era troppo forte: Alberto Spencer vi si stabilì e, negli anni successivi, ebbe sempre un ruolo marginale nel calcio locale. Forse per scelta, forse perché di opportunità vere non se ne sono mai presentate. Fu un vero e proprio diplomatico, questo sì, guadagnandosi la nomina di console ecuadoriano in Uruguay nel 1982. Poi emigrò a Cleveland, Ohio, morendo a causa di alcune complicazioni cardiache croniche. Di lui, fuori dal campo, si è sempre parlato poco. Umile, semplice, umano, anche negli ultimi giorni della sua vita.

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