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Alan Curtis, l’anima dello Swansea

Calcio EsteroAlan Curtis, l'anima dello Swansea

Alan Curtis è stato una delle più grandi leggende dello Swansea, piccolo club di una piccola città del Galles, che ha condotto per la prima volta alla grande ribalta della First Division. Questa è la sua storia

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Swansea, Galles meridionale. A meno che non siate fan di poesia anglosassone novecentesca, e quindi innamorati dei versi di Dylan Thomas, conoscerete questa cittadina di nemmeno 250.000 abitanti solo grazie al calcio: se avete una certa età, perché ci nacque il mitico centravanti della Juventus John Charles; se siete più giovani, perché ricordate lo Swanselona di Brendan Rodgers. Bene, sappiate che il calcio a Swansea deve tutto ad Alan Curtis.

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Swansea non è Cardiff, qui molta gente ancora oggi parla il gallese più volentieri dell’inglese, e I tifosi della squadra locale, fino a qualche anno fa, non potevano certo vantare la grande tradizione di First Division dei Bluebirds della capitale. Alan Curtis viene da un posto ancora più piccolo e sconosciuto, il minuscolo villaggio di Pentre, appena più a nord di Swansea (che qui la gente conosce col nome di Abertawe).

Suo padre è un minatore, sua madre un’operaia in una fabbrica: tipico background gallese. A 13 anni fa un provino con il Manchester United, ma viene scartato: buona tecnica, ma troppo esile. Qualche anno dopo, Curtis abbassa le sue aspettative e prova con lo Swansea City, che milita in Third Division, e stavolta viene ingaggiato. Finisce la scuola e si trasferisce in città, ha lo stipendio minimo e deve trovarsi un impiego come apprendista manovale, per sbarcare il lunario.

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Nell’agosto del 1972, Roy Bentley lo fa esordire in prima squadra, come mezzala sinistra. I numeri ce li ha, il resto della squadra un po’ meno: a fine stagione lo Swansea retrocede in quarta serie, e Bentley viene sostituito da Harry Gregg, ex-leggenda dei primi Red Devils di Matt Busby. Gregg è un nordirlandese che gioca all’inglese, palla lunga e scontri fisici a tuttocampo, l’esatto opposto del gioco che predilige Curtis, ma comunque un ragazzo col suo talento fa sempre comodo, e totalizza un buon numero di presenze.

Poi, nel 1975, in panchina si siede Harry Griffiths e le cose cambiano. Il nuovo allenatore ha molta fiducia in Curtis, e uno stile di gioco più corale e incentrato sui passaggi; prende il ragazzo e decide di trasformarlo in un centravanti di manovra. All’inizio l’adattamento è farragginoso, poi la squadra ingrana e Curtis inizia a segnare. Nel 1978, con John Toshak in panchina, realizza 34 reti in 46 partite, è capocannoniere del campionato e porta lo Swansea alla promozione.

L’arrivo in First Division

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La sua carriera, fin qui, è uguale a quella di tanti piccoli campioni di provincia che esplodono nelle serie minori e spiccano il volo allontanandosi dal nido: Alan Curtis è una promessa, e il Leeds decide di puntare su di lui, facendolo esordire in First Division. Ma le cose non funzionano, segna appena 5 gol in 28 partite, e decide di mollare e tornarsene indietro. Quello che per molti sarebbe un fallimento, è invece il punto cruciale della carriera del centravanti gallese.

Di nuovo allo Swansea, Curtis diventa la stella della squadra e vive il suo periodo d’oro, che porta alla promozione dei gallesi in First Division, portandoli per la prima volta nella massima serie inglese (mentre il Cardiff se ne resta faticosamente in seconda categoria, e l’anno dopo retrocederà in terza).


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Chi si ricorda di Alan Curtis e del Swansea, pensa soprattutto a quella prima annata tra i grandi d’Inghilterra, con gli Swans che esordiscono con una travolgente vittoria sul Leeds, marcata ovviamente dal classico gol dell’ex dell’attaccante di Pentre. A fine stagione, ne avrà segnati in tutto dieci, disseminando giocate sui campi della First Division e portando i suoi fino a un clamoroso sesto posto.

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Come per tanti fenomeni della provincia, anche la carriera di Curtis vive un’improvvisa ascesa e poi il ritorno alla sua originaria dimensione di modestia. Nel 1983 lo Swansea retrocede, e lui, nemmeno trentenne, si trasferisce al Southampton con molte aspettative, ma di gol ne segnerà pochi (appena 5 in tre anni), nonostante i Saints sfiorino subito lo scudetto, alle spalle del Liverpool.

Scende di categoria, prima per due apparizioni allo Stoke City, in seconda serie, e poi addirittura in quarta per giocare nel Cardiff City, che conduce a una promozione e a una vittoria della Welsh Cup, il primo trofeo della sua carriera. Inossidabile, a 36 anni, nel 1989, torna per un’ultima stagione allo Swansea, aiutando il club a salvarsi da una retrocessione in Fourth Division. Dopo le ultime esperienze, nei primi anni Novanta, al Barry Town, Curtis decide di ritirarsi, ormai qurantunenne.

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Ma ormai è una leggenda, a Swansea, e il club gli riserva un posto nella dirigenza. Diversamente dalla sua carriera da giocatore, Curtis sarà un uomo lontano dai riflettori, rivestendo una miriade di incarichi nello staff tecnico, e occasionalmente diventando caretaker nei momenti di transizione del club. Questo fino all’aprile 2019, quando ha scelto di andare in pensione ed è stato tributato come presidente onorario degli Swans.

Ancora oggi, il suo nome riecheggia nei pub della città con toni leggendari, e c’è sempre qualcuno che è pronto a raccontare un aneddoto nuovo su Alan Curtis. A volte sono ricordi di ciò che faceva in campo, altre volte episodi della sua vita lontano dalla ribalta, tipo quando andava a giocare a calcio con i detenuti della prigione di Sandfields o quella volta che aiutò a vendere magliette nel negozio del club. Perché Alan Curtis è stato più di un giocatore, per lo Swansea: è stato e sarà sempre uno di famiglia.

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